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Pesca

Il riccio di mare

di Giordano L.

Questo abitante dei fondali marini, insieme alla stella di mare e al cetriolo di mare, appartiene alla categoria degli echinodermi (dal greco ekhînos = riccio e dérma = pelle).

Il riccio di mare di interesse alimentare è il Paracentrotus lividus, volgarmente detto riccio femmina, in contrapposizione all’Arbacia lixula (riccio maschio); il lettore comprenderà, successivamente, che questa distinzione dei sessi non trova alcun riscontro pratico, in quanto entrambe le specie sono ermafrodite.

Il corpo del Paracentrotus lividus è di forma ellittica ed è costituito da una serie di piastre calcaree che formano una corazza rigida (detta dermascheletro) sulla quale sono inseriti gli aculei (Figura 1). Le spine del riccio sono dotate di una base peduncolata, collocata in un tubercolo della corazza; esso è circondato da fibre muscolari che consentono il movimento della spina. Quest’ultima è costituita per il 94% da carbonato di calcio e magnesio e da silicio, per il restante 6% da componenti organiche.

Il violento contatto fra spine di riccio e derma umano dà luogo alla manifestazione clinica della puntura; la pelle, quindi, manifesta fenomeni di gonfiore, arrossamento e sviluppo di un granuloma nella zona lesa, ossia una reazione infiammatoria finalizzata ad attaccare e dissolvere il corpo estraneo introdottosi nel tessuto cutaneo (spina).

Peculiare caratteristica del riccio di mare è, oltre agli aculei, la presenza di pedicelli ambulacrali; questi sono costituiti da piccoli tubicini terminanti con delle ventose che, riempiendosi d’acqua, si allungano e si induriscono, permettono il movimento dell’animale sui profondi fondali marini.

Il Paracentrotus lividus si nutre prevalentemente di alghe e detriti di poseidonia oceanica, oltre che di piccoli animali vivi o morti, grazie a un apparato masticatore molto sviluppato, provvisto di cinque denti, che sporge dalla bocca. Per respirare questo echinoderma sfrutta delle piccole branchie che pompano in continuazione acqua per estrarre l’ossigeno necessario.

Circa l’apparato riproduttore si ricorda che esso è dotato di gonadi che producono sia spermatozoi che uova; si tratta dunque, come già accennato, di una specie ermafrodita. È da precisare, tuttavia, che la fecondazione si verifica in acqua tra cellule prodotte da soggetti diversi.

La presenza di un pigmento detto spinocromo determina la colorazione esterna del riccio femmina; essa può assumere diverse tonalità: marrone, rossiccio, giallognolo o violaceo. Gli esemplari dotati di quest’ultima colorazione non amano molto la luce solare e per tal motivo spesso si ricoprono di alghe e sassi.

Legislazione vigente

La pesca del riccio di mare, attualmente, è regolata dal decreto ministeriale del 12 gennaio 1995. Tale normativa, varata dall’allora Ministro delle Politiche agricole on. Adriana Poli Bortone, si compone di cinque articoli e pone una serie di limiti di seguito riassunti.

L’art. 1 di detto decreto stabilisce che la pesca del riccio di mare è consentita a pescatori subacquei professionisti e sportivi, che possono effettuarla solo per immersione e manualmente, utilizzando attrezzi da raccolta limitati all’asta a specchio e al rastrello.

L’art. 2 precisa che il pescatore professionista non può catturare giornalmente più di 1000 esemplari; al contrario il limite giornaliero per il pescatore sportivo è fissato in 50 ricci.

L’art. 3 fissa la taglia minima di cattura del riccio di mare: non inferiore a 7 cm di diametro totale compresi gli aculei.

Secondo quanto stabilito dall’art. 4, la pesca professionale e sportiva del riccio di mare è vietala nei mesi di maggio e giugno.

L’ultima disposizione, art. 5, stabilisce le sanzioni che scaturiscono dall’inosservanza delle precedenti norme, ai sensi degli articoli 15, lettera a, e 26 della legge 14 luglio 1965, n. 963.

Interesse culinario

Le gonadi crude del Paracentrotus lividus, grazie al loro inconfondibile aroma (che racchiude le percezioni olfattive sprigionate dalle alghe dei fondali marini), rappresentano una vera e propria prelibatezza.


Ricci pronti per la degustazione di mare.

Così, ad esempio, nella penisola salentina (provincia di Lecce) è consuetudine gustare le gonadi (Figura 2) estraendole con un cucchiaino e associandole a prodotti locali tipici, quali pane e taralli.

I ricci nel Salento sono venduti da pescatori professionisti che, disponendo di appositi bancali per la degustazione adiacenti alle coste del litorale, offrono ai molti turisti l’opportunità di assaporare la naturalezza oltre che la bellezza di questi splendidi luoghi mediterranei.

Il prezzo al pubblico di ciascun riccio si colloca mediamente fra 0,15 e 0,25 euro.

Tuttavia le gonadi, grazie alle vivaci colorazioni (quali rosso corallo, arancio e giallo ocra), si prestano a guarnire i piatti più sofisticati, destinati a soddisfare palati raffinati. Esse sono utilizzate, infatti, per la preparazione di deliziosi antipasti di mare e primi piatti.

In Sardegna è consuetudine far uso delle gonadi di Paracentrotus lividus come condimento della pasta; si ottiene così un primo piatto molto apprezzato, denominato "fusilli ai ricci di mare". Gli ingredienti necessari per la preparazione di questo piatto sono: 400 g di fusilli, 2 kg di ricci di mare, olio extravergine di oliva, prezzemolo, 1 spicchio d’aglio e 1 peperoncino rosso. La tradizionale ricetta sarda prevede di far soffriggere, in un tegame contenente dell’olio extravergine di oliva, uno spicchio d’aglio assieme a un peperoncino e del prezzemolo e, nel frattempo, di estrarre dai ricci le gonadi, che saranno successivamente mescolate al soffritto. Infine, una volta raggiunta la cottura desiderata, i 400 g di fusilli verranno mescolati con la salsina precedentemente preparata.

Questo primo piatto è molto diffuso anche nel napoletano, dove però la ricetta tradizionale prevede l’utilizzo di una differente tipologia di pasta: le linguine.

Trend dei consumi e tecnologie di conservazione

I ricci di mare, attualmente, vengono consumati prevalentemente allo stato fresco e nel periodo estivo; ciò è dovuto al fatto che questo prodotto della pesca non riesce a soddisfare i bisogni alimentari di prima necessità, cioè la sazietà, in quanto non apporta tutti i nutrienti richiesti dal fabbisogno umano.

Le gonadi di Paracentrotus lividus, dunque, rappresentano una sorta di "sfizio gustoso" in grado di soddisfare la golosità dei palati più raffinati, proprio grazie al consumo fresco.

Tuttavia non mancano le aziende che, sfruttando le comuni tecnologie di conservazione, hanno proposto al mercato prodotti con denominazioni commerciali diverse, concorrendo in tal modo allo sviluppo di consumi non più legati alla stagionalità e alla freschezza. Queste conserve alimentari, generalmente identificate con la denominazione di "polpa di riccio", vengono confezionate in barattoli di latta o vetro (il vetro è preferito dal consumatore, perché all’atto d’acquisto egli vuole osservare il contenuto per verificare l’assenza di difetti o colorazioni anomale); il liquido di governo è costituito, generalmente, da acqua e sale marino (ciò si indica in etichetta con la dicitura "al naturale") e il prodotto risulta, infine, addizionato con additivi (es. aromi naturali, correttori di acidità, ecc).

Il segreto della conservazione della polpa di riccio risiede nella presenza in essa dell’acido citrico (E330), un acidificante che abbassa il pH a valori inferiori a 7, optimum per la proliferazione microbica.

Il costo di una confezione di polpa di riccio con peso netto di circa 70 g si aggira, attualmente, sui 9 euro.

Considerazioni conclusive

L’autore, considerato l’enorme progresso fatto registrare negli ultimi anni dalla scienza delle tecnologie alimentari, reputa il riccio di mare un alimento che, pur esprimendo al massimo le sue spiccate doti organolettiche nel consumo fresco, ben si presta alla conservazione; a tal proposito sarà utile sperimentare in futuro, su questo prodotto della pesca, tecniche che hanno dato ottimi risultati per altri alimenti ittici (si pensi al congelamento).

Un importante contributo in tale direzione potrà essere fornito da una relativamente nuova figura professionale, che opera proprio con l’obiettivo di ricercare tecnologie innovative atte a prolungare la shelf-life degli alimenti, nonché garantire qualità e sicurezza igienico-sanitaria delle derrate stesse: il tecnologo alimentare.

Luigi Giordano



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