Introduzione
Le spinte verso le produzioni alimentari biologiche sono derivate, in una prima fase, dal settore agricolo.
Per molto tempo, però, i maggiori organismi internazionali hanno mancato di proporre linee-guida e comportamenti comuni, lasciando così il passo alle iniziative private; queste ultime, pur prevedendo sostanzialmente regole di produzione più o meno sovrapponibili, non potevano giovare, da sole, ad un autentico lancio del settore.
Nel momento in cui, però, nonostante ciò, le affermazioni sul mercato sono apparse radicate ed in macroscopica espansione nei Paesi più evoluti, è subentrata l’attenzione non solo dei Governi coinvolti, ma anche della Fao e della stessa International Federation of Organic Agriculture Movements (Ifoam) che, oggi, riunisce i movimenti per l’agricoltura ed i prodotti biologici di ben 108 Paesi.
Nel nostro caso l’iniziativa è partita dall’Unione Europea; in particolare sono state promulgate norme che, rispettivamente nel 1991 e nel 1999, hanno interessato però soltanto i metodi legati alla produzione agricola ed a quelli di varie specie animali, con esclusione dei pesci1-2-3-4-5.
Nel 2007 è stato emanato un ulteriore Regolamento il quale ha fatto riferimento, per la prima volta nel caso dell’acquacoltura di questo tipo, alla preesistenza di un’interazione tra le migliori pratiche ambientali che, comunque — ferme restanti le aspettative del consumatore — debbono garantire non solo un alto livello di biodiversità, ma anche la salvaguardia delle risorse naturali e l’applicazione di norme esigenti in materia di alimentazione, di prevenzione delle malattie e di benessere dei pesci in allevamento.
Tra gli altri scopi da perseguire è stata inclusa la spinta verso un eventuale sviluppo rurale che possa coinvolgere, in qualche modo, gli addetti dell’impresa ittica dal punto di vista anche della coltivazione di vegetali — laddove possibile — per la preparazione del mangime.
Ciò già avviene nel novero delle iniziative da parte di taluni dei Paesi europei più avanzati che collaborano con aree asiatiche ed africane nell’allevamento biologico, per esempio, del gambero2-3-6-11.
Questo nostro nuovo sottosettore è anche all’attenzione del Fondo europeo per la Pesca (Fep), che, del resto, nel caso dei prodotti biologici agricoli, aveva già previsto — a favore dei vari Stati Membri dell’UE e per il periodo 2007-2013 — una fase programmata di contribuzione economica7-13; gli stessi Stati hanno emanato, o sono in procinto di farlo, provvedimenti interni similari per l’acquacoltura.
In questa Nota verranno esaminati i vari aspetti della cosiddetta conversione, la quale, nel tendere al passaggio dall’allevamento convenzionale a quello biologico — in particolare in aree o zone del Paese ancora ferme o indecise — può avvalersi, in un determinato arco di tempo, di un’applicazione flessibile delle regole di produzione; ciò deve servire, da una parte, ad adattare le stesse regole della produzione biologica alle nuove particolari pratiche di allevamento ed alle sue corrispondenti fasi di avanzamento e, dall’altra, ad adattare questa nuova produzione alle situazioni locali, anche tenendo conto del clima e delle caratteristiche geografiche6.
Una possibile conversione dell’acquacoltura da tradizionale a biologica in molti dei nostri allevamenti, ancorché legata a maggiori costi, potrebbe trovare una buona collocazione di vendite anche nel Centro e Nord Europa ove, tradizionalmente, il consumo in generale dei prodotti biologici è già notevole2-3.
Contro il consumo di biologico pari al 2% circa in Italia (ultimi dati), si contrappone, infatti, il 10% per esempio della Germania e di altre grandi nazioni ed addirittura il 20% dei Paesi Scandinavi.
Di conseguenza, una maggiore affermazione del biologico anche nella nostra acquacoltura potrebbe creare — almeno in determinati casi — un miglioramento del flusso di esportazioni al quale s’è accennato sopra, come del resto è già successo nel caso delle trote14.
Questa possibilità si verifica da anni con riferimento a varie altre produzioni concernenti, per esempio, la pasta; in quest’evenienza, infatti, sono diverse le aziende che hanno convertito le proprie produzioni in biologiche soltanto per l’estero ed hanno lasciato, invece, il prodotto classico al consumatore interno.
Attività di conversione
Il principio della cosiddetta conversione si applica a qualsiasi impresa che intenda convertire in biologica la conduzione dell’allevamento tradizionale, facendo modo, in ogni caso, che sussista un impatto sostenibile con il corrispondente ambiente.
Detta conversione equivale al periodo di transizione o di passaggio che va dal primo giorno in cui si avvia il nuovo metodo produttivo fino a quando viene ottenuta la certificazione dell’intero sistema. Questa trasformazione che, ovviamente, si verifica realizzando le previste regole di produzione in un determinato periodo, rimane temporaneamente legata, a sua volta, al raggiungimento di più parametri tipici che riguardano la zona, la specie o le specie che si vogliono allevare, il metodo d’allevamento previsto e l’impegno in risorse che si vogliono profondere.
Ovviamente tutto ciò comporta il coinvolgimento di controlli e la definizione della certificazione del nuovo stato.
Nella determinazione del periodo della conversione in argomento è, tuttavia, possibile — a determinate condizioni — che possa essere tenuta in conto pure una fase che precede subito l’inizio della conversione stessa. Un caso, per esempio, riguarda la non commercializzazione dei pesci pronti per il mercato con indicazioni che si riferiscono soltanto alla produzione biologica.
Intanto, un recentissimo provvedimento comunitario ha trattato in proposito le varie norme in attesa della rispettiva applicazione prevista per il primo gennaio del 20096.
Il primo elemento di cui ogni operatore deve prendere atto consiste nella consapevolezza che, durante il periodo di conversione, vanno applicate ben precise regole e che questo stesso periodo di attività non può cominciare prima della data nella quale essa sia stata resa nota all’autorità competente. Automaticamente, con l’inizio della conversione, subentra la piena adesione al cosiddetto sistema di controllo di cui verrà detto appresso.
In pratica, va presentato anticipatamente all’Ente di certificazione il programma di conversione, il quale deve illustrare adeguatamente il momento dello stato in cui si trova l’allevamento da convertire, insieme non solo al metodo che si intende applicare ed ai rispettivi cambiamenti, ma anche agli elementi che caratterizzeranno il controllo sanitario e, più in generale, dell’ambiente.
A proposito del sistema di gestione ambientale, va anticipato che l’allevamento deve offrire le stesse garanzie dei casi in cui le attività partono, sin dall’inizio, dal presupposto della conduzione biologica. In pratica, l’operatore che intende convertire la propria produzione in biologica deve potersi avvalere di un sistema di prevenzione da eventuali inquinamenti dell’acqua e garantire, attraverso un continuo monitoraggio delle pratiche di allevamento, che l’impatto sull’ecosistema sia ridotto al minimo. Ne consegue la disponibilità di un progetto di compatibilità dell’ambiente che coinvolge, insieme, sia le attività proprie del metodo di allevamento, sia l’adeguatezza delle strutture ad esso predisposte.
Detto progetto, il quale serve anche ad identificare il controllo dei rischi ambientali in rapporto all’attività di produzione preventivata, deve, in ogni caso, essere aggiornato, qualora si intendano eseguire mutamenti strutturali per la realizzazione o l’ammodernamento delle tecnologie fin qui impiegate.
Allo scopo, poi, di evitare di sovrapporre eventuali specie o materiali nei casi in cui la medesima azienda intenda convertire soltanto qualcuna delle attività di produzione e voglia lasciare, per il momento, inalterata la conduzione di una o più unità, occorre che il conduttore concordi con l’Ente di certificazione questa non contemporaneità totale dell’avvio della conversione; in questi casi l’operatore deve assicurare, di conseguenza, conduzioni distinte e separate delle produzioni.
Quanto alla durata possibile del tempo massimo per realizzare la conversione, essa — d’intesa con l’Ente sopracitato — normalmente comprende un quinquennio.
La commercializzazione dei pesci quali biologici potrà, intanto, iniziare nel momento in cui almeno il 66% circa del rispettivo ciclo di produzione sia stato ricavato col metodo biologico e, di conseguenza, mai nel periodo precedente.
La normativa nazionale — sia pure ancora in fase di approvazione — ha previsto, intanto, che nei casi in cui la pratica della conversione interessi i metodi di allevamento in bacini in terra o in vasche che non risultino perfettamente svuotabili, la commercializzazione resta subordinata all’assicurazione di un periodo di tempo in cui la conversione è durata almeno un ciclo di produzione durante il quale siano state applicate interamente le previste norme di tipo biologico.
Nel caso, invece, in cui si tratti di impianti a terra che utilizzano bacini o vasche che possono essere svuotati completamente, queste strutture vanno tenute a secco per almeno un mese e disinfettate secondo norme anch’esse previste (trattate, insieme ad altri aspetti, in una Nota Quarta9).
Qui, per inciso, va precisato che anche nell’evenienza in cui non possano essere applicate da subito le norme comunitarie di produzione dettagliate, nel caso pure di particolari specie di pesci, ogni Stato Membro ha la facoltà di prevedere l’applicazione di regole interne e, nel caso in cui queste non ancora sussistano, è possibile applicare quelle eventualmente stabilite da organismi privati purché riconosciuti. Ciò vale per evitare che trascorra lungo tempo prima di avere la disponibilità di pesce convertito e, con ciò, l’onere di dover sopportare il mancato maggiore ricavo della nuova produzione.
Questo particolare aspetto, del resto, è già stato riconosciuto e risolto in buona parte dalla stessa UE nei confronti del settore biologico agricolo in base al quale, appunto per il primo periodo di conversione, è stato elargito un supporto finanziario all’azienda della durata di cinque anni. A proposito, invece, dell’acquacoltura biologica, va segnalata un’iniziativa similare, anche qui della stessa UE, che coinvolge gli allevamenti in conversione.
Norme di controllo e certificazione
Per quanto riguarda le norme relative ai controlli ai quali s’è accennato sopra, è stata prevista l’istituzione di un sistema costituito da apposito personale autorizzato dai vari Stati Membri ed impegnato a far rispettare le disposizioni relative ai controlli ufficiali in materia di alimenti, di mangime e di benessere degli animali10.
Tale tipo di controlli sarà, peraltro, rafforzato dalle decisioni di un apposito Comitato per la produzione biologica che dovrà assistere la Commissione; le aziende, in ogni caso — salvo diverse valutazioni di rischio di infrazioni — andranno controllate almeno una volta all’anno.
Le stesse autorità competenti possono designare o delegare vari controllori, ovviamente in possesso di capacità funzionali ed esperienza, nonché garanti di imparzialità. A sua volta l’organismo di controllo deve attenersi alle regole stabilite dal Reg.to comunitario del 20076.
Detti organismi sono tenuti, infine, a comunicare i risultati dei controlli eseguiti alle autorità competenti ed eventualmente di quelli effettuati su richiesta, attivando interventi adeguati ed un efficace coordinamento. Nel frattempo sono state previste apposite procedure standardizzate, sia nel caso dei comuni controlli, sia nelle evenienze di constatazione di infrazioni, nonché eventuali ritiri della delega per insoddisfacimento delle funzioni attribuite.
Da parte dei vari Stati va organizzato un sistema che consenta la tracciabilità di ogni prodotto biologico nelle sue varie fasi di produzione e di commercio e, intanto, sono state anche previste precise scadenze nella trasmissione dei dati relativi ai controlli ufficiali eseguiti ed una relazione che riguardi le attività di controllo — entro la fine del mese di marzo — svolte nell’anno precedente.
Sempre in tema di controlli va aggiunto che il conduttore dell’azienda, il quale pone in commercio i propri prodotti deve, intanto, rendere nota la propria attività alle autorità delle Stato Membro interessato, indipendentemente dal fatto che si tratti di prodotto biologico oppure in conversione, preparato o immagazzinato (o importato da un Paese Terzo); con ciò, in pratica, l’azienda viene sottoposta di fatto agli obblighi di controllo fin qui trattati ed, automaticamente, essa entra a far parte di un elenco specifico aggiornato. Questa regola vale anche per le esportazioni e, comunque, subentra il pagamento di un contributo che serve a coprire le spese di controllo.
Limitatamente, invece, alla sola vendita diretta al consumatore o utilizzatore finale e, quindi, in assenza di produzione, trasformazione ed immagazzinamento o importazione da un Paese Terzo, il commerciante è esentato dall’obbligo di aderire al sistema di controllo.
È stato, infine, previsto uno scambio di informazioni a cura delle varie autorità competenti di controllo, sia su richiesta, sia per singole iniziative.
Area o zona di allevamento
A proposito dell’individuazione dell’area o zona di allevamento, essa deve innanzitutto garantire la qualità delle corrispondenti acque nei confronti di possibili rischi ambientali e, ciò, in modo che risultino certe e permanenti le caratteristiche dell’ecosistema di partenza.
Se appare necessario, debbono anche prevedersi misure precauzionali o di prevenzione; resta il fatto che detta qualità — come già accennato sopra — andrà monitorata secondo parametri e tempi che vanno concordati con l’Ente di certificazione3. Debbono poi essere previsti, se ancora non vi sussistevano, accorgimenti atti ad impedire l’eventuale fuga dei pesci in allevamento e, in linea di principio, l’attuazione di procedimenti basata su risorse interne al metodo stesso, salvaguardando il più adeguato sfruttamento della pesca6.
Specie di pesci da allevare
Per quanto riguarda la specie o le specie da allevare va innanzitutto premesso che il nuovo metodo della conversione non deve, intanto, alterare in modo negativo il corrispondente comportamento della specie. Questo principio, come già altre regole che sono state fin qui esaminate a proposito della conversione, valgono anche per le attività che debbono caratterizzare la produzione di tipo biologico che, eventualmente, cominci dall’inizio come tale.
Densità dei pesci da allevare
Quanto alla densità dei soggetti in allevamento, in una prima fase fu stabilito soltanto che questa doveva essere compatibile con le esigenze della specie11.
Successivamente è stato concordato che essa deve rispettare, oltre al benessere, le caratteristiche fisiologiche ed etologiche degli animali e potrà essere diversa e massima possibile solo a seconda della taglia della specie allevata; per esempio, nel caso delle spigole essa deve essere pari a 12 kg/m3 a mare ed a 20 kg/m3 a terra8-12.
Intanto, qui giova ricordare che il disciplinare interno in itinere, già citato più volte sopra, prevede che le rispettive regole si applichino tanto all’allevamento delle specie sotto riportate, quanto ai relativi prodotti derivati: orata, puntazzo, sarago, ricciola, trote, anguilla, branzino, storione, trota fario, salmonidi, nonché ad altre specie e oppure ibridi che appartengono alle varie famiglie.
Più specificatamente, oltre agli accenni di cui sopra e sempre relativi al tema in oggetto, sono state previste le seguenti densità massime consentite a seconda della specie:
Cenni sulle prospettive di mercato per la produzione biologica
La crescita del numero delle specie da poter convertire in biologico oppure da destinare direttamente al biologico sin dall’inizio, unita alla legislazione che si avvia ad essere certa e comune nell’intera UE, possono rappresentare i due elementi del primo segmento orizzontale della nuova acquacoltura.
Nonostante l’impegno ed i maggiori costi di produzione (ai quali, tuttavia, corrispondo più elevati ricavi), l’acquacoltura deve essere pronta ad investimenti capaci di favorire, anche in Italia, un sotto-settore che può aprire la via pure al valore aggiunto. In questo modo aumenterebbe l’offerta alla quale molti esperti attribuiscono un primario elemento di spinta e di affermazione. Da parte sua la crescita della produzione favorirebbe la stessa stabilità del rifornimento ed incoraggerebbe le imprese ad espandere, le capacità. La stessa uniformità nel campo della certificazione potrà assecondare le azioni di monitoraggio e la valutazione dei metodi di produzione, con la conseguente conoscenza dei pregi e delle prospettive di un mercato dall’alta qualità, ancorché ristretto, ed incoraggiare alla conversione nuovi imprenditori. Ciò va detto ricordando che risulta aperta, anche per le imprese nazionali, l’opportunità di cooperazioni commerciali con Paesi Terzi sulla scia di quanto già fanno da tempo altri Paesi dell’UE1-2-9-11. Dal canto suo la trasparenza del sistema di commercio oggi avviata sull’intero territorio comunitario6 è destinata ad identificarsi in una base solida, utile per incassare la piena fiducia dello stesso consumatore nazionale e certamente può rappresentare un ulteriore stimolo verso sforzi associati tra i potenziali sostenitori ufficiali dell’acquacoltura biologica. In questo contesto risulteranno fondamentali — in particolare nel caso italiano ancora carente — il sostegno e la visione da parte degli Istituti di ricerca delle Facoltà di Veterinaria e di Biologia e le iniziative di sistema, di indirizzo e di informazione da parte delle istituzioni, in particolare di quelle regionali.
Vanno, poi, guardate con maggiore interesse ed ottimismo le iniziative prospettate dalla Commissione europea a favore delle varie aziende ittiche dell’intera comunità con riferimento già, per esempio, alla gestione dei fondi del Fep secondo i programmi operativi per il 2007-2013.
In questo caso, qui può accennarsi brevemente alla prospettiva di contributi finanziari e di aiuti strutturali all’acquacoltura che possono intravedersi nel cosiddetto Asse prioritario due entro il quale possono configurarsi determinate attività. In proposito, è il caso di segnalare che per asse prioritario si intende una delle priorità di un programma operativo che comprende un insieme di misure in rapporto tra loro ed aventi obiettivi specifici che si possono misurare7.
Il Fep, fra gli investimenti riconoscibili, può finanziare anche quelli relativi alla commercializzazione di settori dell’acquacoltura e le misure di interesse comune che mirino ad attuare una politica di qualità, di valorizzazione, di promozione oppure di sviluppo di nuovi mercati per i relativi prodotti.
Nel quadro operativo generale previsto dal Regolamento in discussione rientrano pure la realizzazione di campagne di promozione regionali, nazionali o transnazionali, la promozione di prodotti ottenuti usando metodi che presentano un impatto ambientale ridotto com’è certamente il caso dell’acquacoltura biologica, compresa la certificazione dei prodotti ottenuti con metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e, infine, le stesse campagne finalizzate a migliorare l’immagine dei prodotti di acquacoltura attraverso anche indagini di mercato13.
Fra gli altri elementi che possono, in qualche modo, giovare alla causa del biologico ittico va individuato il cosiddetto Piano di Comunicazione lanciato recentemente in Italia in materia di organizzazione iniziative di informazione e di comunicazione finalizzate a promuovere una corretta immagine di settori dell’acquacoltura ed a far conoscere le caratteristiche dei relativi prodotti. Le principali azioni di informazione e di comunicazione, pianificate, per esempio, per il 2007, sono state individuate in coproduzione di spazi televisivi, in campagne di sensibilizzazione ed informazione nelle scuole, in attività di informazione e di comunicazione presso i punti vendita, pescherie o supermercati e fiere di settore, nonché in attività editoriali di informazione attraverso specifiche convenzioni stipulate con agenzie di stampa e testate giornalistiche15.
Qui può concludersi brevemente questo sottocapitolo, segnalando che la stessa legislazione interna in itinere relativa al disciplinare del biologico ittico ha, per esempio, previsto a favore delle imprese interessate un consistente abbattimento dei costi legati alla pratica delle certificazioni8-9.
Aldo Schiavo
Bibliografia
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