Da sinistra: dott. Licinio Corbari,
prof. Remigio Rossi, dott. Gian Carlo Mezzani.
Con un articolo pubblicato su questa stessa rivista nel 1989 avevamo analizzato la situazione italiana ed europea dellallevamento intensivo dellanguilla, per prevederne i possibili sviluppi. A distanza di quasi dieci anni ci sembra utile descrivere qual è stata poi in realtà levoluzione del settore e di nuovo tentare di immaginare lo scenario degli anni 2000.
Il quadro dellanguillicoltura europea è naturalmente mutato rispetto ad allora, sia in termini di produzione totale che di tecnologia impiegata.
La produzione europea è aumentata, arrivando oggi a circa 7.000 t, per il notevole sviluppo degli impianti nel Nord Europa; pur con un aumento relativamente modesto, da 3.000 a circa 3.500 t, lItalia rappresenta ancora uno dei paesi cardine della produzione del settore.
Il fenomeno più rilevante degli ultimi anni è lo sviluppo degli impianti del Nord Europa, a seguito della messa a punto della tecnologia del circuito chiuso, già operante in quei paesi allinizio degli anni 80, ma con pesante aleatorietà dei risultati. A quellepoca i costi di produzione risultavano ancora troppo elevati, non competitivi con quelli ottenibili nei circuiti aperti, anche in considerazione del fatto che questi impianti producono essenzialmente buratello (maschi argentini con peso medio di circa 130 g), di minor pregio commerciale rispetto al capitone (femmine con peso medio di 400-500 g).
È cambiata la tecnologia generale di allevamento e anche la tipologia del pesce da semina, che oggi parte in misura maggiore rispetto al passato dallo stadio di ceca, mentre fino allinizio degli anni 90 era basato principalmente sullimpiego del ragano (piccola anguilla gialla di 15-40 g), sia selvatico che svezzato. Anche in anguillicoltura si sono affermati (in Italia meno comunque che nel resto dEuropa) i mangimi secchi estrusi ad alto potere energetico, la cui migliore utilizzazione (in termini di digeribilità) minimizza la quantità di residuo organico e quindi "sporcano" meno.
Rispetto alla situazione di fine anni 80, oggi nel Nord Europa (Danimarca, Olanda) e recentemente anche in Italia (tre impianti operanti allinizio 1997) languilla si alleva in impianti modulari (tecnologia danese) a parziale riciclo dacqua (dall1 al 20% del volume desercizio al giorno), per lo più partendo dallo stadio di ceca.
Lallevamento a circuito chiuso si effettua in capannoni più o meno coibentati per evitare le dispersioni termiche (anche vecchie stalle riadattate) con vasche di piccole dimensioni (da 5 fino a 50 mc). La tecnologia di allevamento è generalmente complessa, e quindi costosa, per la necessità di effettuare operazioni di (i) ossigenazione con ossigeno puro sotto il controllo di sistemi in automatico, dal momento che si possono raggiungere, ovviamente con veloce ricircolo totale dellacqua, densità fino a 250 kg/mc; (ii) la filtrazione meccanica dellacqua con microfiltri meccanici (iii) mineralizzazione dei composti organici attraverso i biofiltri (iiii) il riscaldamento dellacqua per il quale si impiegano diversi sistemi anche con cogenerazione (energia elettrica + calore).
Per lo svezzamento della ceca questa tipologia di impianto è oggi dominante: solo in Italia è presente lallevamento della ceca in impianti a circuito aperto, ma questa tecnologia rappresenta meno del 10% delle semine totali.
Limpianto a circuito aperto, però, presenta valenze interessanti, dal momento che il rapporto sessi finale si avvicina a quello osservabile in molti ambienti naturali, e cioè il 50% di entrambi i sessi.
Cosa è successo in Italia negli anni 90
Conviene ricordare che alla fine degli anni 80 languilla rappresentava un pilastro dellacquacoltura italiana e il grosso della produzione europea. Limpegno di numerosi impianti in questo comparto era giustificato, oltre che dal reddito, anche dal fatto che ad esempio per gli impianti in acqua salata lallevamento dellorata e della spigola non era garantito da adeguata disponibilità di avannotti: solo in quegli anni, infatti, i protocolli della riproduzione controllata hanno trovato la loro definitiva consacrazione. La produzione della anguillicoltura italiana è aumentata (+20% circa) perché si è specializzata, crescendo tecnologicamente. Sono nati nuovi impianti, finalmente in siti adeguati, sfruttando riserve idriche geotermiche (al nord), utilizzando al meglio la tecnologia del circuito aperto (ossigeno liquido, vasche di ridotte dimensioni, triplicando così la densità di allevamento che arriva fino a 150 kg/mc).
Nei confronti della tecnologia a circuito chiuso nord-europea, quella tipicamente italiana del circuito aperto si giustifica per il fatto di essere più economica, sia come costi strutturali che di esercizio, sia, come già detto, per la possibilità di produrre, oltre al buratello, una consistente quantità di capitone (fino al 50%), una pezzatura più remunerativa e apprezzata sia sul mercato nazionale che su quello estero (Germania). Senza contare che, a parità di numero di teste, il peso totale vendibile è molto maggiore.
I problemi dellanguillicoltura intensiva
Al contrario di quanto avvenuto, sia in acqua dolce che salata, per il pesce bianco che deve lamentare linsorgenza di nuove e in qualche caso preoccupanti patologie, lallevamento in intensivo dellanguilla a tuttoggi non presenta, dal punto di vista delle patologie, rilevanti differenze rispetto al passato, lictioftiriasi e la dattilogirosi essendo ancora le parassitosi più perniciose per lallevamento in acqua dolce.
Daltro canto il mercato europeo del consumo dellanguilla non ha subito nel tempo grosse oscillazioni (laumento della produzione da allevamento è stato compensato dalla diminuzione dellofferta di prodotto della pesca). Anche il prezzo, ancorato al marco tedesco per il capitone e al fiorino olandese per il buratello, è rimasto costante negli ultimi dieci anni, subendo variazioni in più e in meno di circa il 5% nel corso dellanno per andamenti tipicamente stagionali. Il prezzo alla produzione in Italia è stato quindi principalmente influenzato dal rapporto di cambio con il marco tedesco. La Figura 1 presenta landamento in lire, fatto base il 1996, del prezzo di vendita delle anguille, confrontato con quello del pesce bianco, orata e spigola.
Per il pesce bianco di prima categoria, a partire dal 1991 si è differenziato il prezzo della spigola rispetto a quello dellorata: è il momento in cui inizia linversione di tendenza, causata dal calo del prezzo del pesce bianco per linvasione di prodotto estero, già iniziato alla fine degli anni 80. Per languilla, come si vede, dopo una fase di equilibrio, negli anni 1994 e 95 si è avuto un aumento, in concomitanza dellimpennata del marco tedesco, mentre nel 1996 si è ritornati ai valori degli anni precedenti.
Se le patologie e il mercato, almeno per ora, non costituiscono un problema, è la semina (qualità, quantità e prezzo) a destare le più serie preoccupazioni.
Come si è detto, molti impianti oggi iniziano il ciclo di allevamento dalle ceche (pezzature da 2 a 4000/kg) utilizzando esemplari provenienti per lo più dalla pesca lungo le coste atlantiche del Portogallo, Spagna, Francia e Inghilterra. Nonostante infatti una raccolta ben superiore di ceche destinate sciaguratamente al consumo, in Italia si stima in non più di 200 kg/anno la quantità avviata al ripopolamento o allallevamento.
In dipendenza della qualità della partita, la sopravvivenza, dopo un anno, può andare dal 50 all80% delle ceche poste in allevamento: queste avranno raggiunto un peso medio da 10 a 15 g, con variabilità da 0,2 fino a 150 g. Utilizzando alimenti umidi e secchi, la conversione nel periodo si può stimare pari a circa 1,5:1.
Tutto bene, quindi, se non fosse che le ceche hanno oggi raggiunto prezzi astronomici (fino a 500.000 lire/kg, circa 200 lire per una ceca) per linvadenza sul mercato degli acquirenti cinesi, che le allevano per produrre kabajaki che vendono in Giappone. La Cina è oggi il maggior produttore mondiale di anguille, con oltre 50.000 tonnellate prodotte. Ha soppiantato sia il Giappone (circa 40.000 t) che Taiwan (ferma a circa 30.000 t). Il Giappone resta però il mercato preferito, tanto che per la produzione di kabajaki esiste già in Danimarca una iniziativa a partecipazione giapponese, unaltra è prevista nel corso dellanno e si parla di una terza da collocarsi nel Sud Europa.
Lassalto alla "risorsa biologica ceca danguilla", in nome del libero mercato, è un fatto molto grave, dal momento che questa risorsa ha una valenza che va al di là del mero prezzo di mercato, essendo indispensabile per il ripopolamento delle acque interne.
La corsa sfrenata allo sfruttamento, con levidente pericolo di sovrasfruttamento di una risorsa per la quale non è ipotizzabile nel breve periodo la riproduzione controllata, ha già messo in allarme il mondo scientifico, sia nazionale che europeo.
Di recente lallarme è stato lanciato anche dalla Federazione Europea degli Allevatori (Feap) la cui posizione facciamo nostra: si richiede cioè una normativa che persegua il duplice scopo di consentire i ripopolamenti e lacquacoltura, mediante un rigido controllo della pesca e la proibizione delle esportazioni allo stadio di ceca.
Costi di produzione
Con tale prezzo delle ceche diminuisce in assoluto il margine operativo degli allevatori: ciò renderà problematica dapprima la sopravvivenza degli impianti che svezzavano la ceca, ma di riflesso anche tutti gli altri che utilizzano il ragano svezzato.
La Tabella 1 dei costi di produzione mette a confronto i costi del 1988 con quelli dellinizio del 1997: si riferisce a una situazione-tipo, ma si sottolinea che le tipologie dallevamento e costi derivanti possono essere anche molto diversi, stante la variabilità delle situazioni.
Per il 1988 ci eravamo riferiti al ciclo produttivo che per lepoca poteva considerarsi standard, partendo con ragani selvatici e applicando un indice di conversione di 2,5:1. Per i primi mesi del 1997 ci riferiamo al conto economico di un allevamento che inizia il proprio ciclo con anguille svezzate di 25-30 g di pezzatura, con QN pari a 2,2:1.
Nellintervallo considerato il costo di produzione è aumentato di circa 3.000 Lit/kg, solo parzialmente compensato dallaumento del prezzo di vendita.
Considerando le singole voci, sono aumentati il costo della semina, dellalimentazione, dellenergia e della manodopera, mentre sono diminuiti i costi di ammortamento e le cosiddette "varie".
Laumento più consistente è dato dallincidenza del costo della semina che in questultimo decennio è praticamente raddoppiato (il valore di 5.000 lire si riferisce allincidenza di seme che costa 30.000 Lit/kg, raggiunge un peso medio finale di 190 g, di cui il 60-70% in peso anguille argentine maschi buratello con peso medio di 130 g; il 30-40% di capitoni femmine con peso medio da 400-500 g). Cambia la materia prima di riferimento, passando da anguilla selvatica a ragano svezzato, scelta che riduce la lunghezza del ciclo di allevamento e descrive la gestione media degli impianti oggi operanti. Per "gestione media" si intende un risultato mediato fra quello degli allevamenti che partono dallo svezzamento della ceca fino a quelli che impiegano anguilla gialla svezzata di 200-250 g.
Laumento del prezzo del ragano da semina, evidente nella Figura 2, è dovuto principalmente alla minore disponibilità.
Modesto invece è laumento dellincidenza del costo dellalimentazione, stimabile in circa il 10%, nonostante un aumento del prezzo del mangime stesso superiore al 20%. Ciò è dovuto al miglioramento tecnologico complessivo degli impianti, dalla modalità di distribuzione alluso dellossigeno, accorgimenti che migliorano lutilizzo del mangime e la sua trasformazione. Senza dimenticare levoluzione qualitativa dei mangimi stessi, la cui maggiore energia permette migliori performance produttive.
Più pesante è laumento dellincidenza del costo energetico, stimabile in circa il 40%, legato principalmente al maggior costo dellossigenazione con ossigeno puro.
Al contrario di ciò che si potrebbe pensare, lincidenza del costo del lavoro sul costo di produzione è aumentata, ma solo di poco più del 20%, perché investendo in tecnologia (meccanizzazione, automazione dei controlli e di altre procedure) la quantità di pesce prodotta per unità di lavoro è anchessa notevolmente aumentata.
Per contro, lincidenza delle ultime due voci è diminuita: gli ammortamenti, perché in relazione allaumento della densità di produzione per unità di superficie o volume gli impianti sono utilizzati in maniera più produttiva; e lincidenza delle spese varie sia per la maggiore efficienza, e quindi produttività, degli impianti, sia per una minore incidenza del costo del danaro.
Complessivamente, e ricordando che si tratta di una valutazione media su tipologie diverse, il costo di produzione è passato da 10.500 lire nel 1988 a 13.500 allinizio del 1997, mentre il prezzo alla vendita è aumentato da 13.500 a 16.250 lire (prezzi del giugno 1997, considerando un pari peso prodotto di buratello e capitone). Il margine operativo lordo è diminuito da 3.000 a 2.750, facendo passare il ricavo percentuale sul fatturato dal 22 al 17%. Questa diminuzione era stata preceduta da un periodo durato circa due anni nel quale, in seguito alla svalutazione della lira, tale ricavo si era mantenuto più elevato.
Conclusioni
La produzione di anguille in Italia con tecnologia di allevamento a ciclo aperto, che consentiva redditività di circa il 20% fino al gennaio-febbraio 1997, ora si attesta al 17%, ma questo risultato è ancora un premio alla professionalità, nel senso che possono conseguire questi redditi gli allevamenti tecnologicamente evoluti, collocati in siti idonei per posizione geografica, qualità e termica delle acque; e gestiti con agilità nei confronti delle fonti di approvvigionamento, cioè del mercato del seme.
Per contro lallevamento a ciclo chiuso, che già destava notevoli perplessità per la monoproduzione di buratello, a causa dellapprovvigionamento del seme esclusivamente da ceca oggi a prezzi stellari, allinizio del 1997 sembra avere minor futuro. Lallevamento a ciclo chiuso mantiene però la sua validità se limitato allo svezzamento della ceca fatto in sinergia con il successivo allevamento in circuito aperto.
LEuropa nel suo complesso deve però poter gestire il suo potenziale naturale di ceche, utilizzandolo per i propri allevamenti che saranno così in grado di alimentare il proprio mercato e quello orientale, mantenendo qui il lavoro e il valore aggiunto.
GianCarlo Mezzani
Via G. Pascoli 1
46040 Monzambano Mantova
Licinio Corbari
Ittica Ugento Spa
Via B. Martello 2 73100 Lecce
Remigio Rossi
Dipartimento di Biologia
Università di Ferrara
Via Borsari 46 44100 Ferrara
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