Introduzione
Sebbene non in sede legislativa, è stato ufficialmente affrontato il problema della vendita dei prodotti ittici decongelati negli esercizi al dettaglio.
È, infatti, intervenuta la Direzione Generale della Sicurezza degli Alimenti e della Nutrizione, Ufficio III, del Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti del Ministero della Salute, con la sua nota prot. n. 0010026-P-02/08/2007 DGSAN recentemente inviata agli Assessorati alla Sanità delle Regioni e Province Autonome(1).
L’argomento viene affrontato in riferimento alla preoccupazione di alcune associazioni di categoria relativa alla frequente presenza sui banchi di vendita di tali prodotti “privi dell’indicazione del loro stato fisico e della cautele che devono essere adottate dal consumatore”: condizione di carenza d’informazione che si ritiene rappresenti, oltre che un potenziale rischio per la salute, una frode di carattere commerciale e un elemento di concorrenza sleale nei confronti di altri rivenditori.
Vendita dei prodotti congelati e decongelati
La vendita dei prodotti ittici congelati (e decongelati) deve oggi essere inquadrata, dal punto di vista della sicurezza alimentare, nell’ambito delle norme di cui al Regolamento (CE) n. 852/2004, che prevede innanzitutto la “registrazione” dell’attività.
Nessuna limitazione incombe sull’operatore per quanto riguarda la possibilità di detenere e vendere alimenti congelati negli stessi esercizi in cui vengono venduti quelli freschi, purché venga rispettata in ogni fase la temperatura di conservazione che non deve superare i –18°C: devono, quindi, essere disponibili adeguate attrezzature, rappresentate da idonei banchi espositori e celle di stoccaggio, allo scopo di non interrompere la catena del freddo.
Per quanto riguarda il decongelamento, viene affermato ciò che dovrebbe essere dato per scontato fin dall’entrata in vigore del DLgs n. 155/1997, e poi del Reg. n. 852/2004 (ma purtroppo il livello di effettiva applicazione del sistema HACCP e delle buone pratiche di lavorazione non è ancora soddisfacente): esso “può essere consentito a condizione che le procedure di autocontrollo prevedano i tempi e le temperature di scongelamento”.
Tale valore termico, secondo la nota ministeriale, “normalmente non deve essere superiore a +4°C”. Infatti, è noto che la fase di congelamento è molto delicata, in relazione alla temperatura impiegata, alle dimensioni del prodotto e quindi al tempo impiegato per completare l’operazione: una maggior velocità di congelamento consente la formazione di ghiaccio in microcristalli, meno lesivi delle membrane cellulari, con un prodotto qualitativamente migliore, mentre un prodotto congelato lentamente risulta, al momento dell’utilizzo per il consumo, qualitativamente peggiore per la perdita copiosa di succhi cellulari dovuta alla lacerazione delle membrane operata dai macrocristalli.
Ma ancor più delicata è la fase di decongelamento, la quale, se effettuata a temperatura ambiente, consente una rapida ripresa dell’attività biologica dei microrganismi presenti nel prodotto (come è noto il congelamento non elimina i batteri) e un rapido deterioramento dello stesso, specialmente se l’alimento resta a contatto con il liquido che ha perduto.
Pertanto, l’operazione eseguita correttamente prevede un decongelamento a temperatura controllata, da gestirsi, per quanto riguarda il rapporto tempo/temperatura, nell’ambito dell’autocontrollo aziendale o meglio, come recita oggi il Regolamento n. 852/2004, delle “procedure basate sul sistema HACCP”.
Un altro aspetto importante trattato nella nota ministeriale è quello dell’esposizione alla vendita, che deve avvenire “in banchi o settori separati da quelli in cui viene venduto il pesce fresco”.
La giustificata preoccupazione è “che il consumatore possa essere indotto in errore riguardo allo stato fisico del prodotto”, per cui è d’obbligo peraltro apporre le dovute indicazioni previste dalla normativa sull’etichettatura.
Ma è evidente che, anche in presenza di indicazioni corrette, la contiguità fisica (che può tradursi in vera e propria mescolanza nel corso dell’attività) nel banco della pescheria può effettivamente indurre in errore l’acquirente, per cui si rende necessaria una netta ed inequivocabile separazione.
Per quanto riguarda le indicazioni da apporre sui prodotti decongelati (si ricordi che per i prodotti sfusi, ai sensi dell’art. 16 del DLgs n. 109/1992, esse possono essere apposte su un cartello ubicato sul contenitore o in corrispondenza del comparto di vendita) la DGSAN elenca:
Autocontrollo, controllo ufficiale e principali sanzioni
Un’altra importante considerazione fatta nella nota della DGSAN riguarda il fatto che “il prodotto decongelato rimasto invenduto dovrebbe essere escluso dal consumo alimentare”: condizione che determina la necessità per gli operatori di calibrare le fornitura in modo da ridurre la possibilità di rimanenze.
Ultimo importante riferimento è quello fatto dalla DGSAN alle procedure HACCP, la cui applicazione “deve tener conto dei pericoli sanitari correlati allo stato fisico dell’alimento e prevedere le azioni correttive nel caso di non conformità con le procedure stesse”.
A tali procedure viene quindi collegata la mancanza di informazioni sullo stato fisico del prodotto, che risulta costituire, oltre che una frode commerciale (delitto previsto dall’art. 515 del Codice penale, punito con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a € 2.066,00, con pena diminuita, secondo l’art. 56 del C.P., da un terzo a due terzi se il delitto è “tentato”, se cioè la consegna della cosa non è ancora avvenuta, per esempio nel caso dell’esposizione per la vendita), una non conformità da gestire nell’ambito delle procedure di autocontrollo.
Viene richiamata la necessità della verifica, da parte degli organi di controllo ufficiale, dell’esistenza e dell’applicazione delle procedure HACCP.
A tal proposito occorre ricordare che la non conformità in merito alla loro assenza o alla loro mancata o inadeguata applicazione, rilevata dal personale sanitario incaricato, può dar luogo, nell’ambito delle azioni e misure di cui all’art. 54 del Reg. (CE) n. 882/2004, alla disposizione già definita “prescrizione”, con applicazione delle sanzioni previste dal DLgs n. 155/1997.
La perdurante applicabilità di tali sanzioni è affermata dalla Circolare del Dipartimento per la Sanità Pubblica Veterinaria, la Nutrizione e la Sicurezza degli Alimenti, ex Ufficio IX, prot. N. 20151/P del 24 maggio 2006, almeno fino alla definizione delle attese nuove sanzioni da parte del legislatore nazionale, competente secondo la normativa comunitaria(11).
La sanzione amministrativa pecuniaria, irrogabile solo dopo verifica dell’inadempienza dell’operatore nei confronti della prescrizione, è pari a una somma compresa tra il minimo di € 1.549,00 e il massimo di € 9.296,00, con possibilità per l’autore della violazione di estinguere il procedimento pagando in misura ridotta, entro 60 giorni dalla notifica, la somma di € 3.098,00 corrispondente alla terza parte del massimo e al doppio del minimo.
Tuttavia, il citato art. 54 prevede anche altre misure, che saranno valutate caso per caso dall’autorità competente incaricata della vigilanza in riferimento alla natura della non conformità e al rischio ad essa connesso, quali la restrizione o il divieto di immissione sul mercato dei prodotti, la sospensione di talune operazioni o dell’intera attività, ecc…
Non si dimentichi che nell’ambito del controllo ufficiale viene verificata anche la correttezza dell’etichettatura dei prodotti esposti nei banchi di vendita, aspetto commerciale dagli innegabili risvolti sanitari.
La mancanza, nel previsto cartello, anche di una sola delle indicazioni delle quali si parla in altre parti di questo scritto (riassumibili in: denominazione di vendita con nome della specie, metodo e zona di cattura, indicazione dello stato fisico; eventuali ingredienti tra cui gli additivi; modalità di conservazione), comporta violazione dell’art. 16 del DLgs n. 109/1992, con sanzione amministrativa pecuniaria pari ad una somma compresa tra il minimo di € 600,00 e il massimo di € 3.500,00, con possibilità di pagamento in misura ridotta della somma di € 1.166,00.
Procedura di decongelamento
A proposito di decongelamento esistono specifiche disposizioni comunitarie. Il capitolo IX, paragrafo 7, dell’Allegato II al Regolamento (CE) n. 852/2004, così recita: “Lo scongelamento dei prodotti alimentari deve essere effettuato in modo tale da ridurre al minimo il rischio di proliferazione di microrganismi patogeni o la formazione di tossine. Nel corso dello scongelamento, gli alimenti devono essere sottoposti a temperature che non comportino rischi per la salute. Qualora il liquido proveniente dal processo di scongelamento possa costituire un rischio per la salute, esso deve essere adeguatamente allontanato. Dopo lo scongelamento, gli alimenti devono essere manipolati in maniera da ridurre al minimo il rischio di proliferazione di microrganismi patogeni o la formazione di tossine”.
È importante il riferimento all’allontanamento del liquido di scongelamento, contenente abbondante sostanza organica e quindi buon terreno di coltura batterica.
L’operazione, come già accennato, è assai delicata: se effettuata a temperatura ambiente e per tempi lunghi, la parte esterna del prodotto inizia a scongelare e i batteri iniziano a moltiplicarvisi. Intanto, la parte interna è ancora congelata e, per lo scambio termico che si determina, si ha un fenomeno di fusione e ricristallizzazione continua dei liquidi intra ed extracellulari, con deterioramento del prodotto per quanto riguarda le caratteristiche commerciali (perdita di liquidi e rammollimento) e sanitarie (moltiplicazione batterica). L’argomento è già stato più diffusamente trattato(12).
Considerazioni e conclusioni
La dicitura “da consumarsi entro le 24 ore”, riferita al momento dell’acquisto, risulta indicativa e senz’altro utile in linea generale, ma non dà alcuna garanzia certa.
Infatti, il prodotto dovrebbe opportunamente essere consumato in tempi brevi dopo l’avvenuto decongelamento e il termine di 24 ore dovrebbe essere un limite di ampia sicurezza, anche perché tale termine è riferito al momento dell’acquisto e non a quello dello scongelamento: si possono avere condizioni più o meno favorevoli al consumatore, a seconda del tempo che intercorre tra il decongelamento e l’acquisto.
E non è chiarito, nel caso in cui il rivenditore al dettaglio riceva il prodotto già decongelato da un fornitore, quale sia il tempo complessivo accettabile tra il decongelamento e il consumo: né sarebbe facile chiarirlo.
A tal proposito, in risposta a un quesito posto da un’impresa della grande distribuzione, è intervenuta nuovamente, con nota 0012006-P-10/09/2007-DGSAN, la Direzione Generale citata, per affermare che il periodo di 24 ore “costituisce un elemento indicativo riguardo alle informazioni da fornire al consumatore per il consumo del prodotto dopo l’acquisto”.
Il tempo che decorre dal decongelamento alla vendita deve tenere conto del pericolo microbiologico, nell’ambito delle procedure di autocontrollo, con una valutazione del rischio che “attiene all’operatore alimentare”(13): quest’ultimo, tuttavia, non dovrebbe mantenere in vendita il prodotto oltre la giornata.
In ogni caso sono fondamentali, oltre alle già richiamate modalità di decongelamento, le condizioni termiche alle quali il prodotto, una volta decongelato, viene successivamente mantenuto in tutte le fasi commerciali: vendita all’ingrosso, trasporto, vendita al dettaglio.
Ma altrettanto importanti sono le condizioni di conservazione dopo l’acquisto da parte del consumatore finale, per cui si ritiene indispensabile che il dettagliante indichi anche la temperatura massima (+4°C) alla quale i prodotti dovranno essere mantenuti durante la conservazione domestica, adempiendo peraltro all’obbligo previsto dall’art. 16, comma 2, lettera c), del DLgs n. 109/1992 (indicazione delle modalità di conservazione per i prodotti alimentari rapidamente deperibili).
Marco Cappelli
Tecnico della Prevenzione
AUSL n. 5 – La Spezia
Riferimenti normativi
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