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Sapore di mare

Livorno, cacciucco e ponce

di Manicardi N.

“Ho trovato una nave che salpava
ed ho chiesto dove andava.
Nel porto delle illusioni,
mi disse quel capitano…”

Così cantava il tormentato cantautore e poeta livornese Piero Ciampi dedicando, all’inizio degli anni ‘70, un’amara “Livorno” alla sua città, cui lo legava un complesso rapporto di amore/odio. Anche per tutti noi questa bella città toscana, da secoli multietnica e multiculturale, è legata soprattutto al suo importante porto, nato nella metà del Cinquecento e affermatosi dapprima grazie ai Medici e poi ai Lorena. Uno dei più importanti porti italiani, sia come scalo commerciale sia come scalo turistico, a vocazione internazionale e frequentato nei tempi passati da numerosi mercanti stranieri e compagnie di navigazione nonché collegato ad un centro industriale di rilevanza nazionale che però da tempo è in declino, tanto che l’area nel 2015 è stata riconosciuta come “area di crisi industriale complessa”. Ciononostante, continuano ad essere molti i motivi per cui dedicare almeno un po’ della nostra attenzione a Livorno: le fortificazioni rinascimentali, il lungomare centrale col pavimento a scacchiera chiamato Terrazza Mascagni, i bastioni della Fortezza Vecchia del XVI secolo che si affacciano sul porto e si aprono sul quartiere Venezia Nuova… E poi, parlando di Livorno, come non si può ricordare il suo celeberrimo “cacciucco”? Il cacciucco alla livornese è, come spesso un tempo, un piatto di origine povera, una zuppa di pesce popolaresca a noi pervenuta dalla tradizione dei marinai locali e diventata, in forza di questa identificazione, il simbolo stesso della città, e non soltanto a livello gastronomico. A questa verace e antica tradizione gli abitanti del posto sono ancora così attaccati che, quando la Buitoni alcuni anni fa immise sul mercato il cacciucco surgelato, ci fu una vera e propria sollevazione popolare, con intervento perfino del sindaco, per cambiarne il nome in quello generico di “zuppa di pesce”.
Non ci fu nulla da fare; tuttavia, la confezione industriale — se non altro — non riporta più la specificazione “alla livornese”. Ma perché “cacciucco”? Impossibile trovare una spiegazione etimologica univoca e definitiva, anche se l’inconsueta parola ci rimanda con molta probabilità (ed è anche l’unica spiegazione accettata dai linguisti) al termine turco küçük che significa “di piccole dimensioni”, con riferimento ai piccoli pezzi di pesce che lo compongono. Per conferire più sapore alla zuppa c’è pure chi lo fa derivare dallo spagnolo cachuco, il nome specifico di un pesce simile al dentice che viene usato anche per indicare il pesce in generale. Più fantasiosa e, soprattutto, priva di fondamenti di qualsiasi natura appare infine l’ipotesi secondo cui deriverebbe dal piatto tipico vietnamita canh chua cá (“zuppa di pesce agra”) che potrebbe essere stato introdotto a Livorno dai marinai di ritorno dall’Estremo Oriente. Secondo lo storico livornese di origine siriana Paolo Zalum, il cacciucco sarebbe stato inventato da un guardiano del Fanale, il faro del porto, al quale un editto della Repubblica fiorentina proibiva di friggere il pesce perché l’olio doveva essere riservato all’alimentazione della luce del faro. Da qui l’invenzione del cacciucco, che di olio ne richiede poco. La verità, come sempre, dovrebbe essere molto meno pittoresca perché, analogamente ad altre zuppe di pesce disseminate lungo tutte le coste della nostra Penisola, nel cacciucco finivano semplicemente gli avanzi della pesca rimasti invenduti. Il variegato risultato poteva poi, da menti più erudite, essere messo in relazione simbolica con l’amalgama di tante genti provenienti da ogni parte del mondo: Ebrei (Livorno ne ha ospitato un’importantissima comunità), Greci, Levantini, Armeni, Tedeschi, Portoghesi, Francesi, Inglesi, Olandesi… E in effetti una ricetta vera e propria non c’è: l’importante è che le qualità siano diverse, comprendendo almeno una specie ittica di pesci, crostacei e molluschi. Pesci di scoglio. La ricetta tradizionale prevederebbe 13 specie diverse ma l’esperienza insegna che di fatto si riducono a 6 o 7, quelle maggiormente pescate: per lo più polpi, seppie, cicale, scorfani e tutto quello che riguarda il “pesce povero” del Tirreno. E comunque non dovrebbero mai essere meno di 5, come le “c” presenti nel nome “cacciucco”. Vengono messe a cucinare in salsa di pomodoro e in tempi diversi, poiché ogni tipo richiede un diverso tempo di cottura. Ancora più degli ingredienti del pescato, quello che a mio avviso conferisce al piatto una caratteristica unica è la presenza di quelle magnifiche fette di pane toscano abbrustolito e agliato su cui la zuppa viene adagiata. Se poi il tutto è rifinito con un giro d’olio d’oliva extravergine, rigorosamente toscano, ecco che si toccano le vette più alte della nostra più genuina tradizione gastronomica.

Il ponce
Livorno non offre soltanto il cacciucco. Tra le sue specialità più tipiche c’è anche il ponce alla livornese, quest’ultimo — e a torto — assai meno conosciuto al di fuori del mondo locale e degli intenditori. Ma anch’esso merita una visita alla città per gustarlo nei locali in cui ancora viene preparato e servito come in un rituale (ma anche per questo ponce il supermercato è ormai diventato un punto di arrivo obbligato…). Pure il ponce (così si scrive e si pronuncia, e guai a sostituirlo con “punch”!) rappresenta il tenace fondo anarchico dei toscani. Ognuno lo fa come gli pare: qualcuno aggiunge il cognac, altri il sassolino, altri ancora lo guarniscono con metà zucchero di canna e metà bianco. Ma l’ingrediente perfetto è la miscela di caffè, meglio se brasiliani e di qualità non alta ma altissima. Caffè che in questa originalissima versione è andato a sostituire la scialba acqua utilizzata dagli anglosassoni… Sarebbe stato Garibaldi a dargli il nome. Dopo la spedizione del 1860 (con la presenza di ben 112 Livornesi), assaggiandolo avrebbe esclamato: “Tiene più caldo del mio poncho!”.
C’erano poi altri ingredienti che costituivano i segreti di ogni esercente: tra essi anche l’esotico zenzero, per esempio, appena scoperto da noi a livello di massa. Segreti che si sono mantenuti, in tenace e geloso silenzio. E, ovviamente, il rum. Soltanto così si può ottenere questa mitica e inimitabile bevanda. Rum che, naturalmente, anch’esso a Livorno è arrivato via mare, introdotto dai marinai inglesi, insieme col primo carico di caffè arrivato nel Seicento. Qui lo chiamano rumme. Un tempo preparato nel “bricco” e servito nel “gottino”, dal fondo spesso per difendere le dita dal calore (la vita dei portuali è sempre stata durissima, soprattutto nelle stagioni invernali e con gli orari antelucani). C’è perfino la precauzione igienica, col limone che striscia il bordo del bicchiere per sterilizzarlo e aggiungere, anch’esso, un ulteriore aroma lasciando lì infilata la “vela”, la fettina infilzata e poi immersa nel calderone sottostante. Ulteriore richiamo a quel mare che il vero livornese non poteva e non può mai dimenticare, neppure nel chiuso di un bar.
Nunzia Manicardi

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Prodotti ittici e birra: Chef First Class Seafood a Beer Attraction

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Con l’ingresso di Chef First Class Seafood, il Gruppo Verrini ha potenziato la sua presenza in Emilia-Romagna con particolare attenzione ai clienti nella ristorazione di alto livello, Gdo, grossisti e pescherie sulla riviera tra Senigallia e Ravenna. Grazie alla qualificata rete di fornitori locali, italiani, internazionali, l’azienda garantisce ai clienti il presidio della filiera e l’assoluta integrità dei prodotti, grazie all’applicazione rigorosa della catena del freddo e alla velocità di consegna.

>> Link: www.verrini.com

Didascalia: il cacciucco non è una semplice zuppa bensì una “mescola” di diversi pesci, una sorta di piatto della fratellanza si dice, proprio come i Livornesi sono un “miscuglio di genti” (photo © www.cacciuccopridelivorno.it).



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