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Il pesce in tavola

I segreti dell’aspic

di Fieni G.

Non è una delle mie ricette preferite ma ogni volta che la vedo non posso fare a meno di ammirarla a bocca spalancata. Adoro quella marea di gelatina (a volte anche colorata) che nasconde/rivela una pietanza sorpresa. È come guardare il fondo del mare: sfocato ma meraviglioso.

Anche la frutta vi può galleggiare, trasformandosi in tal modo in un fine pasto fresco se mangiato da solo (Fiammetta Fadda lo consiglia caldamente per il post pranzo di Natale), oppure in una decorazione per un altro tipo di dessert; ricordatevi di non usare ovviamente il brodo per la gelatina, ma vino bianco dolce, birra o sciroppo (magari aromatizzato con spezie e frutta). Qualche esempio? Un aspic alle pesche e moscato sta sorprendentemente bene su una torta al tiramisù. Uno al Passito di Pantelleria su una al cioccolato. Uno alla mela rossa ed alla mela verde separati da uno strato di biscotti secchi sbriciolati. Uno alle pesche per degli amaretti fatti in casa. Possiamo poi preparare anche un semplice aspic di cacao e pere, al Bellini oppure uno ai frutti di bosco. La descrizione di Sonia Peronaci è favolosa: «Dagli anni ‘70 con furore, insieme alla minigonna, le canzoni dei Beatles, gli orribili motivi optical e un elenco sterminato di serie tv, fino a noi è arrivato anche l’aspic. Per dargli una rinfrescata, ho deciso di mettere al bando la versione salata, servita come antipasto o secondo, e di crearne una dolce, che oggi suona come originale e inedita, come quei vestiti della mamma che avevamo chiuso nell’armadio ma, abbinati nella maniera giusta, ci fanno chiedere dalle amiche dove li abbiamo comprati. L’unico neo è che, visto che nell’aspic l’estetica è tutto e il sotto è il sopra (giuro, nessun ingrediente è allucinogeno…), bisogna dedicare più tempo del normale alla disposizione della frutta: ogni strato richiede una copertura di gelatina, al moscato e limone, e 15’ di riposo in frigo, quindi per farne un certo numero almeno 1 h½ ci vuole. Posso dirvi che, però, portati in tavola, rossi e opulenti, fanno subito festa, che sia Natale, Capodanno o Ferragosto».

E poi ci sono gli innovativi mix, come il bicchierino con aspic al sapore di arancia (o mango e avocado) che ospita i gamberi o l’anello al melone (magari con un goccio di Porto) che contiene uova sode ed è decorato con roselline di prosciutto crudo.

A ritroso nella composizione del pasto, passiamo dal dessert al secondo piatto, spostandoci verso l’aspic di carne. Stavolta la gelatina rende la ricetta ancora più maestosa e ricorda tempi passati dove a illuminare il desco erano candele ed esso troneggiava al centro come l’ospite più importante. Pensate al suo contenere un pollo arrosto al prezzemolo, un coniglio allo sherry, un prosciutto cotto ai pomodorini, un cappone al tartufo e uova di quaglia, un vitello tonnato piccante o un mix di quinto quarto (creste di gallo, lingua salmistrata, animelle di vitello).

Ma nell’aspic galleggiano anche le verdure, a creare una sorta di minestrone o di contorno scomposto: funghi, carote, olive e cavolfiore, nella loro interezza, rimangono sospese… e la gelatina è capace di trattenere anche una montagna di insalata russa. O un’intera ricetta vegetariana: ne ho letta una con  broccoli, castagne, sciroppo di agave, zafferano, nocciole e cavolfiore.

Infine torniamo all’idea del mare con l’aspic di pesce (presente anche nel brodo che ammolla la gelatina). Scorfano con ravanelli e piselli. Salmone al mango e lime. Tonno e uova sode. Sogliola, pescatrice e gamberi (da servire con maionese al Vermouth ed erba cipollina). Pesce affumicato e lenticchie. Astice con sedano e mango in gelatina di gin. Granchio con gelatina alla salsa di pomodoro e sherry. Gamberi e baccalà al tartufo. Trota al lime.

D’altronde il primo aspic venduto era di anguilla: si poteva trovare, nel 1900, al Broadway Market di Londra (anche se sappiamo essere presente su alcune mense aristocratiche precedenti a quella data).

Da allora è sempre stato un piatto sontuoso, specie negli anni Ottanta, limitato alle occasioni in cui figurare bene era d’obbligo: per non romperlo e rovinarlo, sarebbe meglio immergere lo stampo — di acciaio o rame — per qualche secondo in acqua calda, in modo da staccarlo bene dal fondo, e usare un coltello elettrico. Ma oggi può anche diventare un ottimo modo per riciclare qualche avanzo: prendete esempio da Matteo Baronetto, che usa spaghetti al ragù piccante. Perché la gastronomia è fatta così: mescola passato e presente, nobiltà e povertà, gelatina e proteine animali o prodotti vegetali… Non abbiate paura di sperimentare e la vostra tavola sarà sempre una sorpresa!

Giorgia Fieni



East End di Londra

Oltremanica l’anguilla ha una tradizione particolare di cucina povera e popolare, indissolubilmente legata alla storia e alla cultura della zona di cui è tipica, l’East End di Londra. Era infatti una delle poche specie capace di resistere agli alti livelli di inquinamento da scarichi industriali delle acque del Tamigi e, con le sue carni grasse, forniva l’apporto nutritivo necessario a sostenere le lunghe ore di lavoro manuale negli stabilimenti portuali. Tagliata a tocchi e poi bollita in una mistura di acqua e aceto aromatizzati, veniva lasciata a raffreddare nel brodo di cottura che, grazie al collagene di cui è ricca anguilla, si solidificava dando origine alla caratteristica “anguilla in gelatina” (jellied eel), da consumare al cucchiaio, anche in versione “da passeggio”. In alternativa, le anguille potevano essere stufate in un semplice brodo con l’aggiunta di prezzemolo, che dava sapore e colore al piatto, altrimenti piuttosto scarno. In questa versione, l’accompagnamento principe era il purè di patate (mash). Nelle rustiche tavole calde della zona il piatto completo prevedeva perciò, a seconda della disponibilità, anguilla, pasticcio di carne e purè, Eel, pie and mash, che dava anche il nome ai locali in cui veniva servito (in foto “Anguille in gelatina a Whitechapel la domenica mattina”, 1927; photo © Fox Photos/Getty Images).



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