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Curiosità 

Maruzzella, la canzone della lumachina di mare

di Manicardi N.


“Maruzzella, Maruzzè…” Il successo per la bella canzone napoletana, composta nel 1954 da Renato Carosone su testo del poeta e paroliere Enzo Bonagura, giunse immediato e duraturo, veicolato proprio da quel termine, maruzzella, così suggestivo che non soltanto i conterranei dei due autori campani seppero cogliere e tenere per sempre nel cuore. Fu un successo che, con quella lenta melodia a ritmo di beguine, le sonorità mediterranee e mediorientali e le struggenti parole, si discostò nettamente dai precedenti ottenuti da Carosone con il suo caratteristico stile scanzonato, leggero e dissacrante ma che è rimasto ugualmente legato in modo indissolubile al suo nome. Maruzzella era innanzitutto il diminutivo di Marisa. Il compositore si sarebbe ispirato alla propria moglie (che però si chiamava Italia Levidi), a cui è dedicato il brano che voleva evidentemente evocare anche qualche cosa di più e di diverso.
Nel dialetto napoletano la maruzza è la lumaca di mare e il diminutivo/vezzeggiativo maruzzella indica le lumachine, le chioccioline, e, per via della forma del guscio, anche una piccola ciocca di capelli altrettanto attorcigliata ma, in senso traslato, indica pure un bambino incontrollabile, inafferrabile e una giovane capricciosa, come starebbe a denotare la sua capigliatura tutta riccioli. Più in generale: un carattere, un temperamento sfuggente. Nel brano di Carosone e Bonagura maruzzella viene dunque a racchiudere in sé un duplice, profondo significato: inafferrabile come il mare e come un amore di cui non si potrà mai avere assoluta certezza e che proprio per questo tormenta e incatena l’anima facendola palpitare ancora di più.

Questo infatti è il significato della canzone, che diventa il penetrante, struggente grido di passione di un uomo disperatamente votato ad una donna sfuggente come le onde del mare; un inno così incisivo e penetrante, seppur sommesso, che riesce a farsi capire da chiunque, anche da chi non comprenda il dialetto napoletano in cui il testo è scritto. Basta ascoltare il celebre ritornello per rendersene conto:
“Maruzzella, Maruzzè
t’e’ miso dint’a ll’uocchie
’o mare e m’e’ miso
mpietto a me’nu dispiacere.
Stu core mme faje sbattere
cchiù forte ’e ll’onne
quanno ’o cielo è scuro:
primma mme dice sì,
po’ doce doce mme faje mur”
(“Maruzzella, Maruzzè, ti sei messa dentro agli occhi il mare e hai messo in petto a me un dispiacere. Questo cuore mi fai sbattere più forte dell’onda quando il cielo è scuro: prima mi dici sì, poi dolce dolce mi fai morir”).

La canzone, dopo Renato Carosone, fu interpretata con immutato successo da Claudio Villa, il “reuccio” della canzone romana e italiana, diventando in breve uno dei classici della nostra tradizione canora non soltanto napoletana ma anche nazionale. Nel 1956 diede il titolo al film “Maruzzella” diretto da Luigi Capuano e interpretato da attori molto amati dal pubblico, Marisa Allasio e Massimo Serato, e dallo stesso Carosone. Si trattava di un “musicarello”, un sottogenere cinematografico italiano nato negli anni ‘50 che raggiunse l’apice negli anni ‘60 e che può essere considerato come l’antesignano dei successivi videoclip musicali, essendo basato su una canzone di successo (o che si aveva l’intenzione di lanciare sul mercato discografico) insieme con il suo interprete, intorno ai quali si costruiva una storia d’amore dalla consistenza di solito labile. Il titolo della canzone quasi sempre costituiva poi anche il titolo del film, come appunto nel caso di “Maruzzella”.

Successivamente, il brano è stato utilizzato in altri film, di ben altro spessore: in “Nella città d’inferno” (del 1959, per la regia di Renato Castellani, uno dei più apprezzati registi e sceneggiatori del neorealismo italiano) nell’interpretazione di Anna Magnani che, oltre ad essere una straordinaria attrice, era anche un’ottima cantante;
nella colonna sonora del film “Mean Streets” (del 1973, con la regia del grande Martin Scorsese);
nel bellissimo docufilm su Napoli dal titolo “Passione” diretto da John Turturro, in cui è stata cantata da Gennaro Cosmo Parlato.
Tanti sono stati gli artisti che hanno interpretato “Maruzzella” dandole, ciascuno a proprio modo, una sfumatura diversa ma sempre ugualmente affascinante: Sergio Bruni, Nicola Arigliano, Luciano Tajoli, Mario Trevi, Gigi D’Alessio, Sal da Vinci, Lina Sastri, Giuni Russo, Renzo Arbore, Carlo Pascucci, Simona Molinari, Alfio Lombardi e L’Orchestra all’Italiana.
Nel 1959 ne è stata incisa perfino una versione in lingua finlandese, cantata da Seija Karpiomaa (Scandia, KS-287) con testo di Saukki, che è stata in seguito inserita nell'album “Novgorodin ruusu” del 2000 (Fazer Records, 8573-80895-2). Un’altra cover, incisa da Umberto e la Casamatta Orchestra, è apparsa nell’album “Volare” (Karusell, KALP 1001) pubblicato in Svezia, Stati Uniti d’America e Brasile. “Maruzzella” è tuttora una delle composizioni musicali più conosciute e cantate al mondo.

Niente male per la nostra lumachina di mare, tanto apprezzata e apprezzabile non solo a livello musicale ma anche come prelibatezza gastronomica. E questo fin dai tempi più remoti. Sappiamo infatti, grazie al ritrovamento di gusci perfettamente puliti, che le maruzzelle erano consumate già durante la Preistoria. Questo consumo non si è mai interrotto: gli antichi Greci le consideravano un cibo afrodisiaco e come tale lo degustavano, mentre l’usanza di utilizzarle come alimento vero e proprio sembra si debba far risalire ai Romani, che poi l’avrebbero trasmessa ai Galli e, attraverso loro, alla cucina francese, dove Les Escargots à la Bourguignonne (a partire dal 1814, quando venne creata la ricetta) sono uno dei piatti più famosi e celebrati.


Nunzia Manicardi



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