Conosciuta dal punto di vista turistico più per le sue città d’arte dalla meravigliosa architettura moresca o per le sue località costiere che permettono vacanze estive all’insegna del sole e del divertimento, l’Andalusia in realtà offre una varietà di panorami ben più ampia e variegata: spesso basta deviare di qualche chilometro dagli itinerari più frequentati per scoprirne un lato più autentico e conoscerne aspetti interessanti dal punto di vista naturalistico, culturale e storico. Ad esempio, la maggioranza dei turisti che ogni anno visita la provincia di Cadice per godersi il sole e il mare, ignora forse che, alle spalle delle sue belle spiagge dorate, si estende un vero gioiello: il Parco Naturale della Baia di Cadice, una zona umida di più di 10.500 ettari, frutto dell’incontro virtuoso tra uomo e natura. Dichiarata spazio naturale protetto dal 1989, la marisma della Baia di Cadice appare agli occhi del visitatore come un paesaggio attraversato da un fitto intrico di canali e punteggiato da specchi d’acqua salmastra che sembrano respirare al ritmo delle maree oceaniche, con l’acqua che ciclicamente durante il giorno copre e scopre scuri fondali fangosi.
Zona di contatto tra terra e acqua, il Parco accoglie una gran diversità di specie animali: colonie di eleganti fenicotteri rosa, spatole, avocette, cicogne, aironi cinerini, e molte altre specie di uccelli che trovano qui le condizioni ottimali per vivere stabilmente o per svernare. Ma anche sotto il livello dell’acqua la vita ferve: oltre a diversi tipi di alghe, sono 127 le specie animali tra crostacei, molluschi e pesci che popolano i fondali e i canali della marisma, che si rivela dunque un ecosistema dalla biodiversità eccezionale.
Un ecosistema frutto di una simbiosi prolifica tra natura e uomo che il progresso ha rischiato di cancellare e che oggi, al contrario, si cerca di recuperare a vantaggio dell’ambiente e della sostenibilità.
L’uomo, infatti, ha saputo cogliere da sempre il potenziale insito in questo angolo dell’estremo sud della penisola: alta salinità dell’acqua oceanica, presenza di un vento asciutto per buona parte dell’anno, forte insolazione, sono sempre stati elementi perfetti per fare di questa zona un punto strategico per l’estrazione del sale. Già a partire dall’epoca fenicia, per proseguire coi Romani e oltre, qui si sviluppò una tecnica di produzione del sale che si è mantenuta intatta per secoli: l’acqua dell’oceano, spinta nella baia dalla forza della mare, era distribuita, tramite una rete di canali di alimentazione e di chiuse, dentro a vasche di diversi livelli di profondità, dove poi l’azione del vento e del sole faceva il resto, provocando l’evaporazione dell’acqua e la conseguente cristallizzazione del prezioso minerale, necessario per la conservazione della carne e del pesce quando ancora non esistevano congelatori e frigoriferi alla portata di tutti.
Nel corso dei secoli, poi, per non dipendere esclusivamente dalle maree, vennero creati all’interno della marisma enormi bacini, chiamati “esteros” (da leggere con l’accento sulla seconda “e”), in cui veniva raccolta l’acqua marina da poter distribuire alle vasche delle saline al momento del bisogno.
Una conseguenza particolare e inevitabile era che queste vasche, oltre a riempirsi di acqua, si riempivano anche di forme di vita: anguille, sogliole, gamberetti, piccoli granchi e altri crostacei trovavano in questi bacini un habitat perfetto in cui crescere indisturbati.
Quando poi, al termine della stagione salinifera, circa a novembre, le vasche venivano ripulite, si dava inizio al rito del “despesque del estero”: si pescavano i pesci che erano entrati come avannotti ed erano cresciuti alimentandosi di ciò che l’ambiente offriva loro (plancton, alghe, piccoli crostacei), si organizzava un pranzo comunitario e il pesce restante veniva distribuito tra i lavoratori delle saline.
Era l’inizio di una pratica di acquacoltura sostenibile che, insieme all’attività salinifera, ha contribuito per secoli alla creazione e al mantenimento di un ecosistema biologicamente produttivo e in costante equilibrio.
Equilibrio che iniziò ad incrinarsi agli inizi del secolo scorso, quando, con la comparsa dell’industria del freddo e il conseguente cambiamento nelle modalità di conservazione dei cibi, la richiesta di sale calò drasticamente e molte saline vennero abbandonate. Da quel momento alcune piccole imprese familiari situate nella zona cominciarono a considerare l’opportunità di riconvertire le vasche delle saline in spazi idonei per l’acquacoltura: un tentativo di recuperare questi enormi bacini, ormai abbandonati, per sviluppare un’attività redditizia che potesse essere al tempo stesso compatibile con l’ambiente circostante. Si consolidò così la pratica dell’acquacoltura negli esteri, realizzata secondo le tecniche tradizionali, in spazi completamente naturali, senza l’apporto di alimentazione artificiale e senza l’intervento dell’uomo, fatta eccezione per il momento finale del posizionamento delle reti e della realizzazione della pesca nei mesi di novembre e dicembre.
Oggi, per ottimizzare la produzione di questo tipo di acquacoltura senza snaturarne le caratteristiche essenziali, si pratica un allevamento “estensivo migliorato”: si intro ducono negli esteri gli avannotti di specie economicamente più valorizzate sul mercato (come l’orata, la spigola e la sogliola) rispetto a quelle naturalmente presenti ma meno pregiate, come il cefalo, cercando però di mantenere la stessa densità popolativa e somministrando del mangime complementare all’alimentazione naturale.
Tuttavia, nonostante i progressi effettuati nelle tecniche di produzione, l’allevamento ittico estensivo non è sempre redditizio e di conseguenza risulta poco attrattivo a livello economico; è per questo che attualmente solo il 10% dell’estero è utilizzato per questa forma di acquacoltura, che, se non supportata da progetti imprenditoriali coraggiosi e dall’aiuto di investimenti pubblici, rischia di scomparire, creando un danno non solo economico ma anche ambientale. Sì, perché saline, vasche, esteri sono elementi necessari per salvaguardare la biodiversità della zona: abbandonare tutto significherebbe rischiare di perdere un inestimabile patrimonio paesaggistico, culturale e naturale che ha bisogno della mano dell’uomo per potere continuare ad esistere.
Ultimamente la forte sensibilizzazione rispetto alle tematiche ambientali sta spingendo nella direzione del recupero delle saline e della valorizzazione dell’acquacoltura tradizionale, considerati come elementi strategici per la gestione sostenibile del territorio locale.
Diverse sono le fondazioni di ricerca (per citarne alcune CTAQUA e SALARTE) e le associazioni ecologiste che con la loro azione di divulgazione promuovono pratiche politiche e imprenditoriali sostenibili che possano salvaguardare la biodiversità della zona e, al tempo stesso, generare benefici economici e sociali con la creazione di ricchezza di nuovi posti di lavoro, specialmente se si riescono ad individuare formule nuove e creative per diversificare le attività. Un esempio emblematico da questo punto di vista è il recupero della salina Santa Marìa de Jesus (salinasdechiclana.es), a Chiclana de la Frontera, un terreno di 45 ettari che sarebbe finito per essere una discarica a cielo aperto se qualcuno non lo avesse rivitalizzato e che oggi invece è diventato un’attività multiforme: produzione e vendita di sale, ristorante con menu a base di prodotti dell’estero, centro benessere con bagni di sale, punto di riferimento in cui organizzare visite didattiche ed eventi di richiamo turistico, come ad esempio le giornate durante le quali è possibile assistere all’operazione del “despesque” e di seguito godere di un buon pranzo a base di “pescado de estero”.
Un’altra operazione importante è stata la creazione del marchio “Pescado del Estero Tradicional” da parte del “Centro Tecnológico de Acuicultura de Andalucía” (CTAQUA), per cercare di promuovere e valorizzare sul piano commerciale un prodotto d’eccellenza che si distingue non solo per la sua sostenibilità ma anche per le sue caratteristiche organolettiche, visto che il pesce dell’estero, date le condizioni in cui viene allevato e l’alta salinità dell’acqua in cui cresce, ha una carne più grassa e saporita e un sapore decisamente pieno e succulento.
Già diversi produttori della zona hanno aderito all’iniziativa, che prevede un regolamento che dettaglia non solo i parametri fisico-chimici, biologici e tecnici che devono essere rispettati nelle operazioni di allevamento e manipolazione del pesce, ma anche un calendario di pesca che permetta di organizzare strategicamente l’attività di distribuzione e commercio.
Nella provincia di Cadice sono sempre di più i ristoranti di alta cucina che propongono nei loro menu piatti elaborati con i prodotti tipici dell’estero: orate e spigole in primis, ma anche anguille, cefali e sogliole, i cui esemplari più grandi vengono cucinati al forno o alla piastra, mentre quelli più piccoli vengono fritti.
Negli esteri vivono però anche crostacei e molluschi che sono ben presenti nella gastronomia popolare della zona: non si può andare nella Baia di Cadice e non assaggiare la “tortilla de camarones”, una frittella croccante a base di gamberetti minuscoli, farina di ceci, cipolla e prezzemolo che si può trovare ovunque e che è un piatto povero tanto semplice quanto sfizioso.
Per fortuna sono sempre di più le iniziative imprenditoriali della zona che coniugando gastronomia, cultura e ambiente offrono al visitatore un ventaglio di possibilità interessanti per scoprire, al di là delle mete più conosciute, tesori naturali che vale la pena rivitalizzare e proteggere, in un circolo virtuoso nel quale l’ecoturismo è la modalità perfetta per saldare insieme, in modo sostenibile, tradizione e innovazione, economia e ambiente.
Monica Forni
Fonti
Férnandez Gonzalez C., El arte del despesque: entre esteros y salinas en el corazón de Cádiz, www.traveler.es/articulos/arte-despesque-esteros-salinas-cadiz, 18/01/2022.
Mª Nimo A., El tesoro desconocido (y en riesgo) de la Bahia de Cádiz, in planetainteligente.elmundo.es/personas/el-tesoro-desconocido-y-en-riesgo-de-la-bahia-de-cadiz
La acuicultura potencia en los mercados de San Fernando el pescado de estero tradicional para frenar el abandono de las salinas y esteros, in www.ctaqua.es, 29/09/2021.
Desarrollo sostenible en el Parque de la Bahía de Cádiz, in www.ecoturismo.com/parque-natutal-de-la-bahia-de-cadiz, 16/02/2021.
Nuevo impulso a la marca “Pescado de Estero Tradicional” en la Bahía de Cádiz, in www.ctaqua.es, 31/05/2022.
Fomento de la acuicultura de esteros como generador de empleo en la Bahía de Cádiz, in www.ecologistasenaccion.org/153813/fomento-de-la-acuicultura-de-esteros-como-generador-de-empleo-en-la-bahia-de-cadiz/, 19/10/2020
Los esteros fuente de riqueza pesquera y de turismo gastronómico, in europa-azul.es/esteros-andalucia/ 18/02/2019
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