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Il pesce in tavola

Allo Scoglio

di Fieni G.


Una roccia in mezzo al mare. I flutti che arrivano e formano uno scroscio. Questo è ciò che pensiamo quando leggiamo la parola “scoglio”. La seconda cosa è la pasta o il risotto. Che prende questo nome dal fatto che, per cucinarli, si usano specie ittiche che si muovono lì attorno e/o si appoggiano ad esso. E poi pensiamo alle vacanze… Al gustare questo piatto in spiaggia o in un ristorantino dove sentiamo quella piacevole brezza e indossiamo un costume e un pareo o un vestitino leggero e magari siamo in buona compagnia.
Lo scoglio nasce nelle località di mare (in Campania e Sicilia in particolare), dove il pesce è appena pescato e ha quel profumo e quel sapore unici.
È un’elaborazione della cucina povera, chiamata così perché utilizza ingredienti economici e a portata di mano, reperibili ovunque e da chiunque. Niente vieta però di prepararlo anche a casa, in città, facendosi aiutare da un negozio di fiducia che ci darà vongole, cozze, seppie, calamari, moscardini e gamberi di prima qualità e freschissimi.
La nostra scelta sarà solo tra pasta e riso, se aggiungere pomodoro o preparare il sugo in bianco e il tipo di vino (ve lo consiglio bianco, ben freddo). L’accortezza è sempre quella di pulire per bene il pesce perché amiamo il mare, ma non sentire la sabbia sotto i denti e al palato.
Ormai fa quindi parte della tradizione italiana, non solo delle regioni di mare. Perché è la sensazione che conta… E contano anche i ricordi, visto che negli anni Ottanta e Novanta era un must di molti ristoranti, anche pizzerie, ora che ci penso.
Mi è pure venuto in mente che in certe ricette era prevista la farina, per rendere il tutto cremoso (ma ormai dovrebbe essere stata abolita… forse) e soprattutto che era ricoperta da abbondantissime dosi di prezzemolo (al punto che alcuni clienti inventavano un’allergia o intolleranza proprio per evitare che coprisse completamente il sapore della ricetta).
Sono tanti gli chef e gli esperti di settore che si impegnano a impararlo e a crearne delle variazioni, per renderlo unico e personale.
Alcuni trasformano il sugo in un concentrato, in un ristretto, in una bisque. Cercano di ricreare il sapore marino della roccia. Usano altri cereali, al posto della pasta e del riso, o mettono il sugo nella pasta ripiena o nella lasagna.
Cuociono lo scoglio al forno (nel cartoccio). Aggiungono limone (per dare freschezza) e/o alghe. Lo servono nel barattolo.
Ci sono però anche variazioni che ci fanno storcere il naso, a prima impressione. Poi, magari, assaggiando, ne apprezziamo il valore, ma indubbiamente sono curiose e a volte anche forzate. Pensiamo solo allo scoglio abbinato alla pasta e ceci o alla carbonara. O a chi mette tutto nel frullatore.
Dove invece la parola non ci deve spaventare è quando è usata per definire delle specie ittiche, tipo la triglia e il polpo: serve per raccontare alcune sue caratteristiche.
La ricetta di base non è assolutamente complicata e per questo siamo liberi di personalizzarla anche noi, pur essendo solo persone che cucinano per famiglia e amici. Basta capire quali sono i sapori che preferiamo, quelli che ci fanno sentire bene, quelli che stimolano il buon umore, che ci fanno venire l’acquolina in bocca…Insomma, quelli che ci fanno sentire in vacanza anche se siamo seduti al solito tavolo di casa e circondati dallo stress.
Lasciamo che quest’ultimo sia solo un’onda che ci colpisce ma non ci abbatte, esattamente come fa lo scoglio.


Giorgia Fieni



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