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Il nuovo corso di API per il prossimo triennio

di Redazione


Ci aspetta un 2025 impegnativo sul fronte dell’acquacoltura. L’API, l’Associazione dei Piscicoltori Italiani è pronta a scrivere un nuovo capitolo per il prossimo triennio con il neopresidente Matteo Leonardi, eletto dall’assemblea nazionale lo scorso fine anno. Quarantacinque anni, titolare di impianti di troticoltura dell’azienda agricola di famiglia a Tre Ville, in provincia di Trento, attiva da due generazioni, Leonardi ha ereditato il testimone lasciato da Pier Antonio Salvador, iconico presidente che ha guidato il sodalizio per molti anni, contribuendo in prima persona a renderlo la più importante associazione nazionale del comparto. «Non è facile sostituire una presidenza come quella di Pier che ha raggiunto così importanti traguardi. Mi impegnerò per portare avanti questa solida rete di contatti in un contesto problematico che ha così duramente colpito le aziende ittiche che operano in acqua dolce e salata. Il tutto per pianificare al meglio i tanti nuovi obiettivi di API a medio termine» ha dichiarato a Il Pesce il neopresidente.
«Sono certo di poter contare sull’appoggio dell’intero Consiglio direttivo per affrontare le sfide specifiche dei comparti che compongono la nostra acquacoltura — ha aggiunto Leonardi — ponendo le basi per lo sviluppo del settore, che saprà ancora una volta dimostrare la resilienza e la forte capacità innovativa che lo contraddistinguono. Con le istituzioni lavoreremo per rafforzare la sinergia, migliorare la qualità e la tracciabilità dei prodotti e promuovere una ricerca applicabile direttamente sul campo».



API, una rappresentanza di tutto il territorio nazionale
La diversificata provenienza territoriale dei consiglieri riflette l’impegno dell’API nel rappresentare le esigenze delle imprese ittiche dell’acquacoltura italiana. Nel 2023 il settore ha registrato una produzione di quasi 55.000 tonnellate e una PLV (Produzione Lorda Vendibile) di oltre 400 milioni di euro, con 5.000 addetti, confermando la rilevanza economica e strategica. Gli allevatori italiani si distinguono come ambasciatori di prodotti d’eccellenza, con il caviale italiano riconosciuto e apprezzato a livello mondiale.

Anche la maricoltura al centro delle attività 2025 di API

La maricoltura sarà uno dei temi fil rouge del 2025. A fronte di 8.000 km di coste, l’Italia conta appena 20 concessioni off-shore, mentre altri Paesi che si affacciano sul Mediterraneo ne hanno centinaia. Questo costringe l’Italia ad importare prodotto dall’estero, che non ha le stesse caratteristiche di elevata qualità come il nostro e frena lo sviluppo di un comparto che sarebbe in grado di creare anche nuovi posti di lavoro nelle aree rurali e costiere. «Intendo affrontare con determinazione i problemi del settore della maricoltura italiana — ha sottolineato il vicepresidente Claudio Pedroni — a partire dal quadro normativo di riferimento, impegnandomi a superare gli attuali ostacoli alla crescita. La situazione richiede soluzioni urgenti e ritengo fondamentale creare una rete con tutti gli enti coinvolti per mettere in sicurezza e promuovere le produzioni, offrendo al consumatore un prodotto alimentare ancora più sano, buono e sostenibile.
Lavoreremo per affrontare anche le nuove esigenze dell’acquacoltura. Nelle mie funzioni di vicepresidente esecutivo con deleghe alla maricoltura, saremo più presenti sulle varie problematiche dell’allevamento ittico a mare.
Un esempio fra tutti è il tema delle concessioni demaniali marittime elargite dalle pubbliche amministrazioni.
Noi siamo il principale mercato di consumo di pesce in Europa e contiamo solo un 20% della produzione, con un import dell’80%. Occorre spingere per lo sviluppo delle concessioni demaniali marittime per aumentare la produzione e diventare più autosufficienti. Ce lo chiede il mercato, e ce lo chiedono i consumatori».

API, strategica in Italia e nel contesto internazionale
Nel corso degli anni l’API ha dimostrato di essere l’interlocutore di riferimento per il comparto, non solo per l’ampia rappresentatività delle imprese del settore, ma anche per l’autorevolezza con cui l’associazione e i suoi vertici si sono confrontati a livello nazionale ed europeo sulle varie questioni legate alla produzione e alla promozione dell’acquacoltura, dai temi delle politiche sanitarie a quelle fiscali, fino alla valorizzazione e agli scambi commerciali internazionali.
L’acquacoltura è uno dei settori in più rapida crescita per la produzione di proteine e l’UE è il quinto produttore ittico a livello mondiale. Un’attività di grande rilevanza in molti Stati Membri, che produce oltre 5 miliardi di euro di valore l’anno, contribuendo al 18% della produzione totale in acquacoltura, con un impiego di 85.000 persone».



API, nuovo vertice e consiglio direttivo

Ai vertici di API ci sono il presidente Matteo Leonardi e Claudio Pedroni. Quest’ultimo, già presidente di Agroittica Toscana, è vicepresidente esecutivo di API con deleghe per la maricoltura.
Il nuovo consiglio direttivo, composto da 11 allevatori, e alla guida dell’associazione per il triennio 2024-2027, include una significativa rappresentanza della troticoltura, principale produzione dell’acquacoltura nazionale, con il vicepresidente Silvio De Nardi e i consiglieri Francesco Armanini, Lucio Fariano e Mirella Fossaluzza.
Per il comparto della storionicoltura e la produzione di caviale da acquacoltura è presente Gian Carlo Ravagnan.
Gli allevatori di specie ittiche marine sono rappresentati da Roberto Cò, Lodovico Guariso, Domenico Lococo e Oliver Martini.
https://www.acquacoltura.org/


Andrea Fabris e la sua visione di API tra mercati,
biodiversità, cambiamento climatico e sostenibilità

L’acquacoltura è sempre più la soluzione nei macro equilibri del comparto mondiale?

«Per quanto concerne il consumo pro capite di pesce, il dato FAO riferito al 2022, ma uscito l’anno scorso, parla di un consumo di alimenti di origine da animali acquatici (pesci, molluschi e crostacei) superiore ai 20 kg. Questo è un fabbisogno importante legato al fatto che le proteine animali di origine acquatica sono sicuramente di elevato valore biologico ed è ovvio che ci sia una forte attenzione a livello globale per questi prodotti. Chiaramente, a fronte di questa grande richiesta, l’offerta si sta spostando verso l’acquacoltura, che nel 2022 ha abbondantemente superato la pesca per la fornitura di proteine animali.
L’acquacoltura si è sviluppata soprattutto in determinati areali, sicuramente quello asiatico e, in parte, nel Nord Europa. Il resto dell’EU fa invece ancora fatica ed è ben lontana da l’autosufficienza, dato che oggi noi Europei importiamo mediamente circa il 70-75% del pesce di cui abbiamo bisogno per soddisfare i nostri mercati. L’Italia non si discosta molto da questo squilibrio. In merito al fatturato del mercato italiano, la pesca produce 600 milioni € di fatturato mentre sono 500 i milioni per l’acquacoltura, compresi pesci e molluschi. Numeri importanti, considerando anche che i molluschi, negli ultimi due anni, hanno subito un forte contraccolpo a causa del granchio blu» ci spiega Andrea Fabris, direttore di API (in foto).

Cosa rende l’acquacoltura italiana così speciale rispetto, per esempio, al Nord Europa?
«In API, attraverso le nostre aziende associate, rappresentiamo oltre il 90% della produzione italiana e più di 20 specie allevate tra storioni, trota iridea — che rappresenta ancora la prima specie per volumi prodotti —, i salmerini e tutti i pesci di mare, con l’orata al primo posto in termini quantitativi, seguita da spigole, ombrine, saraghi e altre varietà. In più ci sono specie minori, che hanno un loro mercato come, ad esempio, i pesci gatto, le carpe, le tinche. Tutto ciò sottolinea la biodiversità dell’acquacoltura italiana, capace di includere la diversità di specie nei nostri allevamenti oltre a tante e differenti tecnologie e metodologie di allevamento applicate. Una biodiversità che si riscontra nell’acquacoltura di acqua dolce — basti pensare a tutte le specie di storioni negli areali che vanno dalla pianura alle zone più montagnose — fino all’allevamento in mare. Qui operano sistemi più estensivi e tradizionali, come le varie colture nelle lagune, per arrivare a impianti a terra, più intensivi e organizzati, fino agli impianti offshore con recinti in mare. Non dimentichiamo inoltre che, tra i nostri associati, rappresentiamo anche 4 avannotterie che forniscono anche altri paesi del Mediterraneo per quanto riguarda le spigole e orate. Insomma, abbiamo uno spaccato veramente ampio di specie e diversità in termini di tecnologie e metodologie di allevamento».

Come si contretizza il supporto di API alle aziende?
«L’acquacoltura italiana non è una monocoltura, un sistema unico. Il nostro territorio, così differente per conformazione e opportunità, è l’espressione di tanti sistemi eterogenei e spesso e soprattutto per quanto riguarda l’acqua dolce, è caratterizzato da micro e piccole imprese che richiedono assistenza per meglio comprendere il quadro normativo nazionale ed europeo. Ecco quindi che il ruolo di API si fa strategico nel fornire una serie di servizi formativi e informativi alle aziende associate, un punto importante per le imprese anche meno strutturate, al fine di operare al meglio in un contesto in continua evoluzione. Il nostro ruolo è fondamentale anche per far fronte a emergenze, e quella che oggi ci troviamo ad affrontare ha un denominatore comune che è il cambiamento climatico.
Questo porta a specie aliene nuove — come il granchio blu — che possono essere più o meno invasive; alla recrudescenza o sviluppo di patologie legate all’aumento della temperatura media delle acque sia dolci che marine; ad un aumento di intensità degli eventi atmosferici.
Ci troviamo così ad assistere a terra a grandi periodi di siccità seguiti da forte piovosità concentrata con rischio di inondazioni, mentre a mare alterniamo periodi con correnti marine rallentate a momenti di mareggiate e moto ondoso che mettono a rischio le attività di pesca».

La diversità dell’acquacoltura europea come strumento per raggiungere la sostenibilità ambientale, sociale ed economica?

«Se la sfida col mercato resta per forza di cose sempre aperta, quella col cambiamento climatico la dovremo sempre più controllare e gestire. La diversità della nostra acquacoltura italiana può aiutare in questa flessibilità del sistema. Il sottofondo europeo è caratterizzato da una certa rigidità burocratico-amministrativa che, nonostante i tanti proclami e linee strategiche annunciati in questi anni, svolge ancora un’azione di freno allo sviluppo.
Tutto ciò va in contrasto con la sostenibilità manifestata dall’acquacoltura italiana (ed europea) che non si limitano ai soli aspetti ambientali ma anche sociali (come ad esempio la sopravvivenza delle popolazioni attive in certe aree rurali) ed economici (basti pensare al caviale, per il quale siamo i secondi produttori al mondo!)».



Passaggio di consegne da Salvador a Leonardi

Nel corso dell’assemblea nazionale di fine anno il neopresidente Matteo Leonardi, con tutti gli associati, ha rivolto un sentito ringraziamento a Pier Antonio Salvador e a Marco Gilmozzi, rispettivamente presidente e vicepresidente uscenti, riconoscendo il loro contributo fondamentale alla crescita e al consolidamento dell’associazione.
Salvador mantiene la carica di presidente del Working Party on Fish (Gruppo di Lavoro Pesce) nell’ambito del Copa-Cogeca e il suo incarico nel Comitato Esecutivo dell’AAC Aquaculture Advisory Council (Consiglio consultivo per l’acquacoltura). In Europa, così come in Italia, è fondamentale il lavoro finalizzato a rafforzare la collaborazione tra acquacoltura e pesca, ridurre l’impatto della burocrazia per piscicoltori e pescatori, dare informazioni migliori sul pesce consumato nei canali Ho.re.ra., oltre ad aumentare la visibilità e la conoscenza dell’acquacoltura sostenibile e dei suoi molti prodotti.
Il neopresidente Leonardi ha il compito di continuare l’impegno di Salvador sulla scia della tradizione, coniugandola con innovazione e sostenibilità, elementi imprescindibili per affrontare il mercato internazionale in continua evoluzione e sempre più esigente.


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