Anche in cucina essere buoni non sempre basta. Per avere successo, un nome, soprattutto se esotico, e una leggenda, sono importanti. Succede ad esempio per i profiterole, una preparazione della grande pasticceria che oggi ha successo in molti locali di ristorazione, anche se quasi sempre viene servito un prodotto industriale, ritirato prestamente dall’armadio frigorifero e servito in una confezione che spesso riporta il nome dell’industria che lo produce e lo distribuisce.
Storia e leggende
La parola profiterole (pronunciata anche come prophitrole, profitrolle, profiterolle), usata anche al plurale, profiteroles, deriva dal diminutivo del francese profit, che significa profitto, guadagno. Guadagno ovviamente per chi produce, ma si spera anche di chi mangia un dolce costituito da piccoli bignè ricoperti di cioccolato, singoli, ma nelle occasioni importanti presentati anche in modo da formare un unico dolce, a volte piatto, più spesso in forma di alto cono.
Il termine profiterole esisteva già nel XVI secolo sia in Francia che in Inghilterra, ma non è ben chiaro di cosa si trattasse, anche perché in seguito prese ad indicare una specie di “panino cotto sotto la cenere”. Solo nel XIX secolo la parola venne associata ad un dolce di origine francese consistente in un bignè di pasta choux, dal gusto neutro, riempito di crema pasticcera oppure crema chantilly, panna o gelato, poi ricoperto con una crema di cioccolato o di caramello.
Il successo e la diffusione dei profiterole non derivano solo dal nome francese, che richiama una cucina e una pasticceria di alto livello, ma anche da una possibile origine italiana. Secondo la leggenda, il dolce trarrebbe infatti le sue origini nel Rinascimento, quando la fiorentina Caterina de’ Medici, andando in sposa a Enrico II di Francia, e diventandone regina (1547-1559), portò con sé le ricette dell’alta gastronomia toscana.
Sempre secondo questa versione dei fatti, pare che la nobildonna abbia introdotto sulle tavole francesi anche l’uso della forchetta (i Francesi mangiavano ancora con le mani) e imposto nella cucina la divisione tra i cibi salati e quelli dolci, che iniziarono ad essere serviti a fine pasto, come di solito si fa ancora oggi. Caterina chiamò alla nuova corte anche i suoi cuochi e uno di questi, un certo Popelini, nel 1540 avrebbe creato la pasta choux facendone dei bignè.
Questa pasta sarebbe divenuta molto famosa in Francia e con essa anche i profiterole al cioccolato. Molto probabilmente, comunque, si tratta di un insieme di notizie non tutte vere, o per lo meno scarsamente verificabili.
Un più attento esame della storia dei profiterole, peraltro abbastanza lacunosa, dimostra che uno dei suoi ingredienti principali, il cioccolato, dopo la sua scoperta in America, per tutto il Cinquecento rimase un’esclusiva della Spagna. In Francia pare essere stato introdotto nel 1615 da Anna d’Austria, sposa di Luigi XIII, e tra il 1659 e il 1688 l’unico cioccolataio di Parigi fu David Chaillou. In Italia, dopo alcuni timidi tentativi, il cioccolato arrivò a cavallo tra il Cinquecento e il Seicento, prima nella Sicilia dominata dagli Spagnoli, a Modica, poi a Firenze, per merito del commerciante Francesco d’Antonio Carletti.
Dai sontuosi banchetti nuziali ai tavoli delle pizzerie
In Francia il profiterole è un dolce basilare di un importante banchetto nuziale, dove viene presentato come croquembouche (croccante in bocca), una piramide di bignè ripieni caramellati. In Inghilterra è un dolce molto popolare; il bignè viene riempito di crema, panna o gelato e ricoperto con un golosissimo strato di cioccolata calda. In Italia oggi il profiterole viene consumato soprattutto nelle trattorie e nelle pizzerie, che evidentemente non hanno un reparto di pasticceria e che ne scrivono il nome, sulla carta che sostituisce il menu, optando per la traslitterazione all’italiana, spesso alla buona, evitando così “di passare per snob” e di mettere in difficoltà il cliente che non conosce la lingua francese e potrebbe non ordinarlo per evitare l’imbarazzo di una pronuncia errata. A vedere il dessert servito dal cameriere, sorge il sospetto che il profiterole indicato al singolare non sia una semplificazione linguistica, ma un’indicazione onesta. Il prodotto servito in questi locali, infatti, di origine chiaramente industriale, è di solito un bignè di pasta choux farcito di crema pannosa alla vaniglia, coperto con una crema burrosa al cioccolato, che arriva sul tavolo in totale solitudine, uno per porzione, provenendo dal frigorifero di conservazione.
Per questa origine industriale, comune ad altri dolci proposti come dessert, dei quali non si mette in discussione la sicurezza, il profiterole finisce per essere uguale ovunque, con caratteristiche standard e varianti minime. Tra queste si rileva quella della crema di copertura, con il cioccolato che può essere scuro, al latte o bianco.
Nonostante queste variazioni, che possono appagare una voglia di dolce a fine pasto, i pur sicuri profiterole industriali, che hanno invaso l’Italia, non lasciano alcuna traccia nella memoria.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma
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