Nei dialetti e nel parlare comune, soprattutto in Emilia, le tradizioni locali legate alla lavorazione delle carni di maiale sono indicate con il termine di inftidûra dal ninén, dove inftidura significa “investitura”, cioè lavorazione delle carni e grassi dell’animale con loro insaccatura nei budelli, vescica e altre membrane, e legatura con lo spago. Per estensione, il termine “investitura del maiale” si riferisce al momento dell’anno e alla giornata di preparazione di ogni sorta di insaccati e carni fresche prodotte dal maiale appena macellato. Il termine “investitura” è antico; nel Medioevo significava “assegnare una dignità”, perché l’immissione nel possesso di un fondo compiuta dal signore feudale a vantaggio del vassallo (e, per estensione, l’assegnazione del possesso di una carica o di un beneficio) era accompagnata dalla consegna di una cappa o di un ornamento (in vestire). Da qui “investire” significa “prendere in possesso e conferire dignità”. Quando si inizia ad usare il termine investire per indicare la lavorazione artigianale delle carni di maiale rendendole conservabili? Il bolognese Vincenzo Tanara, nel suo libro L’economia del cittadino in villa (1644), nel quale dedica molte e dettagliate pagine alla macellazione del maiale e alla lavorazione delle sue carni, non ne fa cenno. Il termine investitura compare invece nel 1691 nel Gioco della cuccagna che mai si perde e sempre si guadagna (si veda box a pagina 54), un passatempo simile a quello dell’oca, disegnato dall’incisore bolognese Giuseppe Maria Mitelli (1634-1718), che individua in questo salume la specialità gastronomica di Parma. Senza entrare nell’ancora dibattuta questione di quale sia questo salume indicato come investitura (culatello, come vorrebbero i più, o altro salume), ci si può soltanto chiedere perché sia usato questo termine e quali siano i rapporti tra il suo uso nella pratica di investire il maiale e le investiture che se ne ottengono. Almeno due sono le ipotesi. La prima è che le pratiche dei mazèn (questo è il termine usato in Emilia e in pianura padana, mentre norcino è il termine dell’Italia centrale) permettono di prendere possesso del maiale trasformandolo in salumi che possono essere conservati a lungo. La seconda, che non contrasta con la precedente, è che, tramite la vestizione e la legatura delle carni del maiale, queste parti sono “investite di nobiltà”. Soprattutto per questa seconda ipotesi è interessante dare uno sguardo ai vestimenti (o involucri) che rendono nobili le carni e i tagli grassi del maiale.
Involucri per insaccati
Del maiale non si butta via niente; oltre le parti pregiate (carni e grassi) vi sono i visceri, la cotenna ed altre che costituiscono gli involucri dei principali insaccati. Principalmente si tratta dell’intestino, vescica, sacco pericardio, sierosa che riveste il grasso renale ed alcune parti della cute del suino. Ma si possono ottenere involucri anche dai bovini (vescica, esofago) e dagli equini (colon). In talune regioni si usa anche lo stomaco. A questi involucri naturali, più recentemente sono stati aggiunti involucri artificiali organici e involucri sintetici. Gli involucri degli insaccati rappresentano la parte più esterna del prodotto, con funzione di trattenere, dandogli una determinata forma, l’impasto, e devono essere considerati sotto diversi aspetti: igienico-sanitario, organolettico-qualitativo e merceologico, tecnologico e culturale.
Igiene e sanità
Gli involucri naturali e artificiali organici d’origine animale, se non sottoposti ad accurata sanificazione (che non può derivare da solo lavaggio, anche in acqua calda, come avveniva un tempo nella macellazione casalinga), possono risultare contaminati da batteri e compromettere sia una perfetta fermentazione e conservazione del contenuto che l’intero processo tecnologico. Evenienza difficile a verificarsi per gli involucri artificiali, sottoposti a severi processi di sanitizzazione; inoltre, quelli di cotone e lino sono inodori, insapori, non irrancidiscono e non hanno problemi di conservazione. Gli involucri sintetici o plastici possono però cedere all’impasto composti indesiderati: tra questi plastificanti quali ftalati e adipati.
Caratteri organolettici
Le caratteristiche di odore, sapore, colore, tenerezza di un insaccato sono il risultato di un’interazione tra l’ambiente (temperatura, umidità, ecc…), i costituenti del prodotto intero o dell’impasto, l’involucro e la durata della maturazione, che nel loro interagire determinano i caratteri delle numerose e diverse tipicità italiane. In questo quadro, l’involucro naturale (budello) ha da sempre svolto un ruolo fondamentale nella lavorazione degli insaccati tipici italiani, intervenendo nella protezione del prodotto stesso, garantendo la permeabilità all’acqua (umidità) e i gas (ossigeno) necessari all’impasto per una adeguata e omogenea asciugatura e maturazione. Inoltre, negli insaccati a media e lunga stagionatura, il budello naturale condiziona lo sviluppo di muffe superficiali gradite (fioritura esterna). La moderna tecnologia industriale, attraverso la climatizzazione (temperatura, umidità, luce), durante le fasi di lavorazione ricrea condizioni ambientali simili a quelle tradizionali e tipiche di realtà territoriali e, intervenendo sui parametri ambientali e temporali, diviene possibile impiegare involucri di calibro e permeabilità differente, senza discostarsi molto da quelli che sono considerati gli standard organolettici previsti per le diverse tipologie di prodotto.
Aspetti merceologici, tecnologici e culturali
L’attuale diffusione di involucri artificiali e sintetici ha molte motivazioni. Con la prevalenza dei maiali leggeri rispetto a quelli pesanti, ad esempio, limitata è la disponibilità di budelli naturali (ad esempio budello gentile) e vesciche di dimensioni adeguate per alcune produzioni salumiere tipiche, soprattutto dopo l’abbandono precauzionale dell’utilizzo dei budelli bovini, in seguito alle emergenze sanitarie della Bse, e dei budelli suini di importazione da Paesi orientali, a causa della presenza di contaminanti e residui indesiderati. Gli involucri artificiali hanno un basso costo e presentano migliore resistenza alle rotture durante le fasi di lavorazione degli insaccati, maggiori possibilità di utilizzo nella produzione di insaccati di grandi dimensioni, facile standardizzazione delle produzioni in quanto permettono di ottenere prodotti di pezzatura uniforme molto graditi al consumatore e utili al produttore per preconfezionare affettati in atmosfera protettiva, facilità di asportazione, possibilità di uso di insaccati di carni bovine o avicole destinati a popolazioni di religione ebraica ed islamica. Inoltre, per quanto riguarda l’etichettatura, non vi è alcun obbligo di indicazione come ingrediente, in quanto non eduli.
Considerazioni finali
Un tempo, nei salumi tradizionali le proprietà richieste all’involucro erano la protezione del prodotto e la capacità di consentire una sua corretta maturazione, attraverso un regolare svolgimento dei processi enzimatici (proteolisi, lipolisi, ecc…) e di scambio con l’ambiente esterno (porosità) che ne determinavano le caratteristiche e la tipicità. Per queste proprietà, il prodotto ottenuto poteva essere consumato in tempi successivi, con caratteristiche di alto pregio sia dal punto di vista nutrizionale (oligo-elementi, vitamine, ecc…) che dell’appetibilità. Ancora oggi l’involucro naturale risponde a tutte le esigenze del consumatore e a quelle da sempre ricercate dall’industria salumiera. A testimonianza c’è il largo impiego che trova soprattutto nei prodotti tradizionali locali, che seguono tecnologie antiche, o nei prodotti tipici che seguono un disciplinare che garantisce la loro tipicità regionale e unicità. Infatti, soltanto il budello naturale è in grado di assicurare alcuni processi biologici peculiari degli insaccati, ad esempio la fioritura esterna e i fenomeni fermentativi ed enzimatici naturali dell’impasto. Per questo trova impiego nella realizzazione dei più prestigiosi salumi italiani, per la sua azione protettiva nei confronti di alterazioni e contaminazioni ambientali e per la sua funzione attiva durante i processi di asciugamento e stagionatura, legati ai climi caratteristici delle zone tipiche di produzione. Agli involucri naturali, oggi si affiancano gli involucri sintetici e quelli artificiali organici, che offrono garanzie di standardizzazione, disponibilità, economicità e comodità d’uso particolarmente apprezzate dall’industria e, di riflesso, dal consumatore.
Prof. Em. Giovanni Ballarini
Università degli Studi di Parma
Involucri naturali e loro usi in salumeria
Involucri naturali derivati da budelli intestinali di diverse specie animali
Altri involucri naturali
Involucri artificiali organici e sintetici e loro usi in salumeria
Involucri artificiali organici
Budelli collati: sono ottenuti da ritagli o da scarti di intestino sovrapposti e incollati. Sono commestibili, ma anche in questo caso non è sempre certo che la produzione sia stata eseguita utilizzando i criteri di qualità previsti dalla norma italiana. Sono impiegati per salumi, insaccati, würstel, salsicce, cotechini precotti e mortadelle.
Budelli di collagene: sono prodotti di origine animale la cui materia prima è ricavata dalle ossa, dallo strato interno della pelle bovina, ecc… Trovano impiego nella preparazione di salumi, würstel, salsicce fresche, mortadelle, ecc…
Involucri di origine vegetale: si ricavano dalle fibre di cellulosa, lino, integrate con plastificanti e reticolanti per facilitare il distacco dell’involucro dall’insaccato. Sono utilizzati nella produzione di würstel (esempio, alginato di sodio) e insaccati diversi.
Involucri sintetici
Gli involucri sintetici comprendono il budello sintetico o plastico costituito da sostanze plastiche a base di poliammide e polimeri largamente usati in altri settori dell’industria alimentare, come le pellicole trasparenti destinate a conservare gli alimenti in frigorifero di casa o per confezionare le vaschette di carni, salumi, pesce e formaggi venduti nei supermercati. A livello industriale si usano nella produzione della mortadella, del prosciutto cotto e di altri insaccati cotti, soprattutto esteri. Il budello plastico poliammidico è un budello sintetico ad alta barriera all’ossigeno per una maggiore shelf-life, ottimo per la conservazione della pasta fresca di salsiccia e salame.
Il Gioco della Cucagna che mai si perde, e sempre si guadagna
I giochi da tavola divennero popolari nel XVII secolo. Nei territori dello Stato Pontificio, di cui Bologna era entrata a far parte nel 1506, la ragione di questo successo era dovuta anche al fatto che i dadi e i giochi di carte erano diventati una fonte di introiti fiscali ed erano sottoposti a censura da parte della legge. Un decreto emesso a Roma nel 1588 dichiarava: “Vedendosi per antica esperienza quanto sia pernicioso il gioco, dal quale nascono per lo più la perdita delle facultà private et la rovina delle famiglie intiere”. La legge escludeva esplicitamente dai suoi provvedimenti i giochi da tavola. Alcuni di questi passatempi, inventati per sostituire le carte e i dadi, consistevano in percorsi disseminati di trabocchetti, un po’ come il gioco dell’oca, mentre altri prevedevano penalità e ricompense in base al risultato dei dadi (…). Giuseppe Maria Mitelli fu il più grande disegnatore di giochi da tavola della Bologna del ‘600. Era nato nella città felsinea nel 1634, secondo figlio di un pittore di successo. Con sua grande frustrazione, i suoi sforzi in campo artistico non incontrarono lo stesso successo conosciuto dal padre e, in mancanza di meglio, si dedicò all’incisione, arte minore e più a buon mercato, raggiungendo nel settore una certa notorietà. Mitelli realizzava stampe satiriche, ma senza mai discostarsi dai canoni della moralità ufficiale (il fratello era un gesuita). Realizzò trentatré giochi da tavola, tra cui, nel 1691, il Gioco della Cucagna. Le caselle illustrate corrispondono ognuna a una specialità delle diverse città italiane: tira un quindici e avrai pane di Padova, un undici e avrai la gatafura (la torta di formaggio) genovese, un diciassette e vincerai un turone di Cremona (“succhia solo” però). I premi più squisiti erano destinati a quei giocatori che fossero riusciti a tirare lo stesso numero con tre dadi: con un triplo due si vinceva la busecha (trippa) milanese, con un triplo quattro le provature romane. Il premio più grande di tutti lo si conquistava tirando un triplo sei, la raffa maggiore. Nella casella centrale del tabellone è raffigurato un uomo in piedi fra due salsiccioni grandi quanto la sua testa: “W le mortadelle di Bologna”, recita la didascalia della casella, “tira tutti” (hai vinto tutto). Il Gioco della Cucagna affondava le sue radici nel patriottismo cittadino bolognese e nella diffusa concezione dell’Italia come terra di specialità gastronomiche locali, ma esibiva lo stesso moralismo allegro di altre incisioni del Mitelli. “Il Gioco della Cucagna, che mai si perde e sempre si guadagna”, recitava il titolo per esteso riportato sul tabellone: ma Mitelli doveva essere ben consapevole che solo in un gioco o in una festa cittadina la terra dell’abbondanza dell’Italia urbana, la sua Cuccagna di piatti tipici, poteva essere accessibile senza sforzo a chiunque (fonte: Con gusto. Storia degli Italiani a tavola, Laterza, 2009; in basso, Il Gioco della Cucagna in una stampa del ‘600).
Didascalia: i “cotechini mariola” del Salumificio Peveri di Alseno (PC) insaccati in budello naturale (photo © www.salumificiopevericarlo.com).
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